“Per aiutare un bambino, dobbiamo fornirgli un ambiente che gli consenta di svilupparsi liberamente” Maria Montessori
Chi sa raccontare storie sa come basti poco tempo per lasciare agli spettatori la possibilità di pensare e sorridere. Matilde, di cui il cortometraggio prende il titolo, è la storia di una bambina sorda e della sua originale determinazione nel far valere il proprio diritto allo studio.
Il film racconta delle sue difficoltà e di come lei vada a caccia di soluzioni in una scuola che le impedisce, non consapevolmente, di seguire le lezioni. Una scuola pensata forse per nessuno, passiva e sorda nei confronti delle diversità, con rumori fastidiosi e un maestro con dei baffi troppo lunghi.
Grazie alla sua creatività, Matilde trova delle soluzioni alternative valide per risolvere le sue difficoltà. L’idea delle palline da tennis, un’idea ripresa nel corto, è stata usata realmente nella classe elementare di Matilde (nome reale della piccola grande attrice) mentre la richiesta riguardante i baffi, è stata ripresa dai racconti reali di un ragazzo sordo confidati al regista Vito Palmieri.
Un messaggio diretto per ribadire che, a volte, bastano anche semplici accorgimenti per superare qualche ostacolo. L’idea brillante di Matilde sta nell’aver trovato degli strumenti semplici, dei mezzi di inclusione economici, a vantaggio di tutta la classe.
Il cortometraggio è prodotto dalla bolognese AGFA, Associazione genitori con figli audiolesi. Come gli altri attori, Matilde è una bambina sorda anche dietro alla cinepresa.
È un personaggio positivo, non è rassegnato alla propria disabilità ma affronta il mondo con caparbietà, riflette, si ingegna per ottenere un suo diritto. Poche parole, molte immagini attente e curate, grazie ad una regia che non dimentica mai il particolare. Matilde è una piccola poesia raccontata in cinema. Con il suo sguardo attento e la sua grazia ha dato un tocco di poesia in più al film. Non poteva esserci protagonista diversa, è stata perfetta.
Una pellicola delicata che sa parlare di sordità in tutti i suoi “rumori” e nelle sue complessità. Punta i riflettori su una disabilità “invisibile”, che costringe chi non sente a combattere contro le barriere della comunicazione.
Il corto tocca anche il tema della solitudine che spesso la sordità implica. La protagonista vive le sue difficoltà da sola, mostrando come questa disabilità sia facilmente non riconoscibile. È una bambina solitaria, si comprende il dramma dell’esclusione in cui vivono tanti bambini sordi, che spesso non riescono a socializzare in maniera serena con i loro compagni.
In una scena anche gli spettatori sono obbligati a leggere il labiale perché non sentono le battute dei personaggi, in quanto lo scenario si svolge in un interno mentre la macchina da presa è posizionata al di là di un vetro e dunque in esterno.
Per promuovere una cultura di inclusione, è necessario diffondere anche la sottotitolatura. Il corto è distribuito con i sottotitoli in italiano o nella lingua del Paese in cui viene proiettato.
Matilde racconta la forza di volontà che occorre ad una persona con disabilità per comunicare con gli altri e, allo stesso tempo, trasmette un messaggio vitale: con le adeguate condizioni tutti possono tutti possono vivere una vita serena.
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