Fare l’educatore in Svezia: Matteo ci racconta la sua esperienza

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Uno dei motivi che mi ha spinto ad aprire questo blog è stata la voglia di condividere storie. Di quelle utili, che ti fanno scoprire qualcosa di interessante. Fra queste c’è quella di Matteo Cattaneo, un educatore che ha deciso di trasferirsi in Svezia. Conosciuto tramite i vari scambi proficui nei social, gli ho chiesto se gli andava di fare quattro chiacchiere per capire come viene svolto il nostro splendido lavoro oltre i confini italiani, precisamente a Stoccolma, in Svezia.

Com’è avvenuto il passaggio dall’Italia alla Svezia? Qual è stata la dinamica che ti ha portato a dire “Mi trasferisco in Svezia”.

La dinamica è stata duplice, da una parte il vantaggio di avere una moglie svedese, e dall’altra il fatto che nonostante facessi mille lavori, con una media di 70 ore lavorative, portassi a casa 1100 euro di media. Considerando la precarietà del lavoro in Italia, e il fatto che mia moglie aveva ottenuto un lavoro a Stoccolma ben retribuito, abbiamo deciso insieme di trasferirci.

Come funziona il sistema educativo della fascia 0-6 anni? Come viene organizzato?

La fascia 0-6 anni è integrata. I bambini non possono andare a scuola prima del compimento dell’anno, per cui devono stare a casa con i genitori, i quali hanno in due, che possono spartirsi come vogliono, circa 480 giorni di genitorialità. I genitori possono spendere questi giorni, fino al compimento degli 8 anni del bambino. All’interno della scuola, a livello di educatori ci sono due tipi di figure, almeno sulla carta. C’è l’educatore che ha studiato al liceo, oppure ha fatto un anno di formazione post diploma e sulla carta ha più compiti permettimi il termine di “manovalanza”, come cambio pannolini, controllo sui bambini nel gioco. La seconda figura è l’insegnante che deve avere un diploma universitario di 3 anni e mezzo e pianifica i progetti educativi. Dico sulla carta, e non nella pratica, perché in Svezia c’è una forte mancanza di insegnanti. Per due motivi: da una lato le università sono a numero chiuso e non hanno abbastanza insegnanti per poter insegnare a più studenti, dall’altro perché tanti, una volta ottenuta la laurea, lavorano per qualche anno ma poi decidono di concludere perché non si trovano più bene. Ritengono questa professione troppo stressante. Per cui anche gli educatori, eseguono il ruolo degli insegnanti.

Lavori in inglese o svedese?

Lavoro in svedese e appena arrivato non sapevo una parola. Il primo anno, mentre studiavo per ottenere la laurea triennale, ho seguito un corso gratuito di svedese. Sono corsi pagati dallo Stato ma con una pessima organizzazione, per cui non ho imparato molto. Ho mandato il mio cv in 6/7 scuole facendo i colloqui in uno svedese maccheronico misto all’inglese. Ho ricevuto una risposta positiva da parte di tutte le strutture, che mi hanno detto: “Lo svedese lo imparerai insieme ai bambini”.

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Per quanto riguarda invece i tuoi colleghi, ci sono più donne o uomini?

Nonostante una maggiore parità dei sessi rispetto all’Italia, anche qui è difficile trovare educatori uomini nella scuola dell’infanzia. La mia scuola è un po’ a se avendo su 10 educatori, 3 figure maschili, ma in genere la media è circa il 2% di uomini all’interno della scuola dell’infanzia. La percentuale aumenta dalla scuola elementare in poi.

Qual è il rapporto numerico educatori-bambini in Svezia?

È fondamentale fare una piccola premessa. Dagli anni 90, hanno cambiato il sistema delle scuole, aggiungendo agli istituti comunali, anche le private. Ogni bambino ha una dote scuola, per cui non importa se va in una comunale o privata, i genitori non hanno nessuna spesa aggiuntiva. Questo avviene perché ci furono delle polemiche relative alle tasse pagate e alla scelta di voler mandare il proprio figlio in una struttura privata, pagando ulteriormente anche una retta. In questo modo, nelle tasse già pagate dalla popolazione sono incluse le spese relative alla scuola. La privatizzazione è stata inserita per creare maggior competizione fra gli istituti comunali che, sicuri di aver sempre delle entrate, non rinnovavano la qualità dei servizi offerti. Così facendo hanno creato maggior diversità nell’offerta formativa. Sia le private, sia le comunali hanno iniziato a formarsi sui diversi approcci per attrarre le famiglie. Ad esempio c’è la scuola basata sullo sport, sulla natura, sulla matematica. Questa premessa era necessaria per capire il fenomeno attuale. Le scuole private tendono, e ora il governo sta cercando di rimediare, a guadagnare su questi soldi aumentando il rapporto numerico educatori-bambini. Ad esempio nella scuola in cui ho lavorato, il rapporto era di uno a 8 con i bambini di 5 anni, mentre con i bambini più piccoli di uno a 6. In caso di assenza per malattia di qualche educatore, non chiamavano nessuno per le sostituzioni. La mia attuale scuola, penso una delle poche in Svezia, ha un educatore ogni 5 bambini e nella fascia più piccola 1 su 4, e chiamiamo sempre qualcuno in caso di assenza. Inoltre la mia scuola, sebbene privata, ha uno statuto dove esclude la possibilità di guadagnare dai soldi della dote (come avviene per le altre private), questo vuol dire che i soldi rimangono nella scuola e non nelle tasche del proprietario (il quale è pagato tanto quanto un’insegnante) e non può essere venduta a nessuno. Le linee guida del ministero affermano che il rapporto numerico deve essere di uno a 6/7 per i bambini più grandi, uno a 5 per la fascia dei più piccoli.

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Cosa mi dici, invece, dell’educazione outdoor versione svedese?

Qua in Svezia ci sono corsi all’interno dei programmi per diventare insegnanti di “utepedagogik”, pedagogia all’aperto. Da educatore e pedagogista in una scuola materna, vivo ogni giorno il bello di questa possibilità, stando fuori con i bambini almeno 2-3 ore al giorno in inverno ( le temperature non aiutano a stare fuori molto di più, quando ci sono meno 10 al massimo si sta fuori 2 ore con i più grandi), in estate, l’interno della scuola non sappiamo nemmeno come sia fatto o quasi.

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Come funziona la parte progettuale educativa?

Ti parlo della mia esperienza. L’idea di base è quella del Reggio Emilia Approach, per cui si seguono gli interessi dei piccoli. Ad esempio, i miei bambini ultimamente erano interessati alle cartine dei pirati e da lì siamo partiti per domandare “Come mai serve quella carta? Chi l’ha inventata?” poi abbiamo iniziato a scoprire che c’erano tanti tipi di carta, fra cui quella dei tesori. Tanto da usare le carte dei tesori anche nelle uscite, nascondendo un sacchetto di cereali nel parco e chiedendo ai bambini, attraverso la mappa, di trovarli. Possono essere dei mini progetti di qualche incontro o più lunghi. Su questo punto bisogna trovare sintonia con i propri colleghi. Ora noi ora lavoriamo con la filosofia per bambini, è il nostro marchio. Siamo la prima scuola con questo tipo profilo in Svezia.

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Mi racconti cos’è la filosofia dei bambini?

È un approccio nato negli anni 60 per mano di Lipman. Si basa sull’idea di dedicare a scuola un’ora alla settimana, alla lettura di alcune storie per far emergere dei ragionamenti, attraverso un metodo socratico. Erano storie adatte per tutti, l’insegnante che leggeva si basava su un manuale, senza l’obbligatorietà di un laurea in  filosofia. Erano storie con sfondi etici, morali, dove far nascere delle argomentazioni nei bambini. Nel mentre la filosofia dei bambini si è evoluta ed oggi viene considerata come un modo differente di pensare, di stare insieme, di ragionare, di argomentare. Faccio un esempio concreto. In una recente seduta che ho fatto con i bambini, c’erano diversi animali giocattoli come giraffe, ippopotami, omini di varie figure. Ho chiesto a tutti di giocare fra di loro con questi animali e raccontare una storia. Un altro esercizio è stato quello di mettere davanti a loro due fogli con un’isola e una montagna, e i bambini dovevano scegliere in quale posto posizionare il loro animale, oggetto, argomentando la scelta. Potevano anche cambiare idea. Oppure facciamo vedere un dipinto come “La notte stellate di Van Gogh” e da lì abbiamo iniziato a parlare del buio, di cosa succede di notte, dei sogni, se i sogni sono veri o finti, finendo a parlare della realtà. È molto interessante.

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I bambini disabili sono integrati nelle scuole svedesi come in Italia?

Fino alla scuola dell’infanzia si. Dipende dal tipo di disabilità e dalla sua gravità. I bambini/ragazzi disabili a livello motorio leggero, o con disabilità cognitive non gravi, sono seguiti a scuola da assistenti educatori e da consulenti pedagogici nel caso di disabilità cognitive. Lavorando un po’ in classe e un po’ fuori, come avviene da noi in Italia. Con la differenza però che in Italia c’è l’insegnante di sostegno presente sempre a scuola, mentre in Svezia i consulenti passano una volta al mese o dipende dai fondi che ha la scuola/comune, a fare il punto della situazione. Mentre i bambini/ragazzi con disabilità cognitive gravi, dalla prima elementare sono in scuole speciali, dove sono seguiti in un rapporto 1 a 1 con un educatore, in una classe piccola, 4-5 alunni, e un chiamiamolo pedagogista, che segue il gruppo. Gli ambienti ovviamente poi sono creati ad hoc, dando tutte le possibilità possibili ai ragazzi. Ci sono poi anche gli interventi di esperti motori e altro. Personalmente non saprei, io sono per l’integrazione, però solo se fatta come si deve. Io sono stato in visita in una scuola speciale, perché come primo lavoro che ottenni qua in Svezia fu quello dell’educatore in una scuola elementare a supporto di un bambino, e andai con lui a visitare la scuola che avrebbe iniziato di lì a poco. Devo dire che mi impressionò in positivo, pensando anche ai livelli di supporto al ragazzo, educatore, pedagogista, coordinatore dei pedagogisti, responsabile della neuropsichiatria. Quattro persone che lo avrebbero seguito nei vari livelli.

Hai anche qualche critica? Qualcosa che non ti piace?

La prima critica da fare riguarda la mancanza dell’identità svedese, loro hanno attinto da molti e manca qualcosa di realmente svedese. Anche dal punto di vista del modello scolastico, il sistema islandese è radicato maggiormente nella loro cultura. Ad esempio,  gli ambienti scolastici sono minimali, hanno delle sale gigantesche vuote con degli scaffali a muro, ci sono delle scatole con giochi neutrali come costruzioni di legno. Gli ambienti sono piuttosto vuoti per quanto riguarda i dipinti sui muri. Mentre qui in Svezia gli ambienti sono tutti ispirati a Reggio Emilia, strapieni di tutto, ed e’ uno degli aspetti che non piace di questo approccio. Trovo che tutta questa abbondanza di materiale sia affaticante per gli occhi, per la mente e le relazioni perché poi si è portati a volere sempre di più. Inoltro noto che approcci come Montessori e Reggio Emilia sono stati fraintesi in maniera clamorosa. Ogni scuola si basa sul pensiero che “Il bambino è competente”, concetto trasformato nel bambino fa ciò che vuole perché è come un adulto e va trattato di conseguenza. Lí vedi casi, in cui i bambini sono come piccoli tiranni. Nella nostra scuola puntiamo molto ad avere delle regole più rigide, perché a volte l’adulto deve decidere, non si può contrattare ogni volta. Ad esempio, qui l’inverno è rigido ma ci sono bambini che si rifiutano di indossare la tuta da sci. Probabilmente il genitore impiegherebbe 40 minuti a convincere il figlio o la figlia, mentre io ho altri bambini da seguire e non ho quel tempo a disposizione. Per cui in quei momenti è l’adulto che decide. Per questo fraintendimento dell’approccio emiliano/montessoriano, i genitori e in parte gli insegnanti si sono di fatto consegnati ai bambini i quali non non accettano l’imposizione, un’imposizione che deve essere vista nell’ottica positiva della crescita e della protezione in alcuni casi. Questa è una delle critiche che sentono anche loro, perché si accorgono del comportamento oppositivo dei bambini.

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Da educatore italiano cosa importeresti in Svezia che lí non vedi?

Più come educatore, porterei qualcosa come Matteo. Sicuramente un maggior contatto fisico. Qui tendono ad essere distanti mentre noto che i bambini ne hanno bisogno. Ad esempio quando leggi le storie, sto in mezzo ai bambini, loro tendono a dividere lo spazio. Si fanno pochi giochi di lotta. Noi abbiamo un materasso a scuola e mi diverto star lì con lor e far la lotta. In Svezia manca un po’ di flessibilità che noi italiani invece abbiamo. Se per qualche motivo, cambia il programma della giornata, per me non ci sono problemi. Le mie colleghe vanno in panico. A livello didattico di preparazione non saprei perché sono due sistemi diversi ma qui l’insegnante e’ preparato più sul suo campo. Mentre il nostro percorso di studi ci porta ad avere delle conoscenze più frammentate ma per questo, riusciamo ad avere una visione più globale della situazione. Questo approccio mi ha aiutato a trovare soluzioni alternative in situazioni di emergenza, ma ho una conoscenza pessima dell’aspetto pratico. Qui hanno una conoscenza elevata per ciò che riguarda l’atelier dell’approccio di Reggio Emilia e le attività laboratoriali. Qui, gli educatori si aspettano che il datore di lavoro organizzi dei seminari, dia consigli sulle letture mentre in Italia, devi crearti da solo le tue conoscenze. Ecco, qui porterei il fatto che l’educatore, dopo la laurea, abbia, l’ambizione di aggiornarsi anche per conto proprio senza aspettare che qualcuno organizzi per un corso per lui/lei, insomma un po’ di responsabilità.  
Aggiungo però un pensiero che ho letto recentemente su internet di un professore dell’università di Malmo, ovvero come la scuola materna svedese e gli insegnanti si stanno spostando sempre più verso l’idea e la struttura di scuola elementare/media, sempre più focalizzati sulla didattica, con una perdita invece della pedagogia, della sociologia e antropologia. Insomma la critica è che gli insegnanti stanno diventando troppo specializzati e che forse una preparazione più ampia (come quella del pedagogista italiano) sarebbe meglio.

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Questo modello incentrato fortemente sui bambini, sulle loro competenze e interesse, attraverso scuole meno didattiche, porta davvero a degli adolescenti e giovani più sereni o per la tua esperienza, c’è qualcosa da migliorare?

Ci sono sicuramente degli aspetti da migliorare. Il sistema scolastico svedese è diverso rispetto a quello italiano. Noi fino al liceo abbiamo una cultura nozionistica, devi sempre raggiungere un risultato più alto, mentre qui l’asticella è sul basso con  meno nozioni. Se sei molto bravo, nessuno mai verrà da te per stimolarti di più, mentre chi non si impegna passa comunque fino ai 15 anni. Dai lí in poi, iniziano a fare una selezione. Chi ha grosse difficoltà verrà indirizzato verso le scuole professionali, che non ti consentono di accedere all’università, mentre per gli altri c’è il liceo. Questo sistema secondo me è da rivedere, (per paragonare è come se noi iniziassimo il liceo al terzo anno, un po’ come è il liceo classico con IV e V ginnasio e poi 1-2-3 liceo), perché a 15-16 anni tra ormoni e quant’altro sei in una fase della vita difficile, e non tutti sono pronti allo stesso modo, cosi facendo precludi la possibilità per il futuro. Se penso alla mia esperienza in Italia io a quell’età ero completamente “tagliato fuori” stando a questo processo, e mi avrebbe precluso l’università o altre opportunità, se non con grossi sforzi. Tuttavia bisogna anche sostenere che qui tutti hanno una possibilità, ci sono persone che a 40 anni si sono rimesse totalmente in gioco, c’è la possibilità infatti di poter fare dei corsi, di solito serali, per recuperare i crediti necessari per accedere all’università.
Aggiungo che abbiamo in Italia, l’idea che gli svedesi siano molto individualisti, ma è proprio il contesto sociale che ti porta ad esserlo. C’è molta libertà, i cittadini sanno di avere dei diritti dimenticando però di avere anche degli obblighi. Lo Stato è molto invadente in tante scelte del cittadino, come un genitore che si occupa di tutto per il proprio figlio. Qua si dice che lo Stato ti segue dalla culla alla bara, questo comporta senz’altro tanti aiuti, penso ai giorni per la genitorialità, ai servizi sociali mediamente buoni (se penso all’Italia direi eccellenti), l’idea di base è che i legami con gli altri devono essere basati unicamente sull’intenzionalità nell’averli e non per necessità. Per dirla in parole semplici, se voglio vedere i miei genitori è perché voglio stare con loro non per bisogno, pensiamo all’Italia dove magari stiamo a casa fino ai 35 anni per bisogno più che per volere. Questo può essere positivo perché aiuta ad emanciparsi, i figli dai genitori, le mogli dai mariti (o viceversa o dal partner), però è anche negativo perché non aiuta invece a creare legami, e soprattutto a non combattere per i legami instaurati appena questi soffrono di incomprensioni o problemi. Ad esempio l’indice di divorzio è piuttosto alto qua in Svezia, vedo tanti genitori a scuola, di 30-35 anni, divorziati e pure già risposati. Ho avuto modo di parlare con alcuni genitori stranieri, e mi hanno confermato come il loro partner svedese, alle prime difficoltà, ha alzato bandiera bianca e chiesto la separazione. In Italia, anche per leggi diverse riguardo ai divorzi in caso di figli, penso all’assegno degli alimenti che qua non esiste, tanti stanno insieme per costerebbe troppo separarsi. Questo non è altrettanto positivo, però a volte basterebbe un po’ di olio di gomito e cercare di sistemare le cose. Insomma gli estremi non vanno mai bene, però come esseri umani necessitiamo della relazione con l’altro e qua è più facile rinunciarci. Vedo adesso ad esempio gli anziani e i pensionati in generale che si lamentano delle basse pensioni, sebbene non siano in effetti altissime, è anche vero che tanti vivono soli per quello descritto sopra, questo aumenta il costo della vita al singolo cittadino. 

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Difficoltà iniziali? Hai mai avuto la percezione di essere discriminato?

Da una parte c’è la classica immagine italiana all’estero come Berlusconi, mafia, pizza, sole e mandolino. Oltre a questi fastidiosi stereotipi, in ambito lavorativo, non ho mai avvertito nessun tipo discriminazione ma solo tanta curiosità, rispetto al modello pedagogico italiano. Dal punto di vista organizzativo lavorativo, ho avuto più soddisfazioni nell’ultimo anno qui in Svezia, che in 10 anni in Italia. A novembre ho scritto una mail al professore Kohan che lavora alla Rio de Janeiro University. Lui è uno dei più grandi filosofi per la filosofia dei bambini attualmente in circolazione, e abbiamo organizzato un incontro nella nostra scuola. Questo è stato possibile grazie alla disponibilità dei miei superiori, mentre in Italia, ho fatto proposte simili, ma sono sempre state rifiutate. Qui invece se hai idee, puoi fare carriera fin da subito. Non c’è razzismo, se non negli stereotipi ma quelli ci sono un po’ ovunque. A volte per spiegare cerco di fare questo paragone, che è sempre relativo rispetto anche alle persone incontrate, ovvero tra uno svedese e un italiano c’è la stessa differenza tra un bergamasco e un barese. Anche qua tra uno svedese di una grande città e uno da una piccola città c’è differenza. Insomma penso che le differenze che uno può trovare qua le può trovare anche in casa propria, credo che tante critiche o tante lodi che facciamo vogliano coprire o sottolineare disagi con se stessi.

Mi ritrovo anche io in questa situazione. Mi racconti che lavoro si può fare in Svezia con Scienze dell’educazione?

I lavori che si possono fare sono diversi, ma non tutti uguali rispetto all’Italia. In ambito scolastico si può lavorare come barnskötare, alla materna, senza bisogno di convalida (giusto un Utlåtande da parte di UHR), però rispetto ai barnskötare (educatore) locali noi siamo ultraqualificati, dato che loro hanno il diploma di liceo magistrale, oppure dopo un paio di anni di lavoro all’interno della scuola materna si può richiedere l’abilitazione all’insegnamento, questo comporta una paga molto più alta. Con Scienze pedagogiche si può lavorare come responsabile pedagogico per comuni e scuole, dopo aver lavorato però alcuni anni a scuola. Nella scuola elementare si può lavorare come fritidspedagog, l’educatore che lavora a supporto/rinforzo dell’insegnante di classe al mattino, e ha invece responsabilità per le attività pomeridiane con i bambini. È una figura in mezzo al barnskötare e all’insegnante. In questo caso basta un Utlåtande nella maggior parte dei casi, in pochi richiedono l’equipollenza che viene rilasciata da Skolverket, ovvero il ministero della scuola svedese, anche se da un paio d’anni c’è la possibilità di richiedere l’abilitazione come fritidspedagog e questo comporta uno stipendio più alto oltre che qualche responsabilità in più. Per gli altri tipi di lavoro educativo invece, con anziani, diversamente abili, etc, bisogna contattare UHR che vi dirà a chi rivolgersi. Il lavoro qui non manca ma come in ogni paese del mondo, devi sapere la lingua. È fattibile, lo svedese non è molto lontano dall’inglese. Ci sono corsi pagati dallo stato, prima l’SFI, che è un corso di base, e poi il SAS che è diviso in tre livelli, facendoli tutti e tre questi livelli si ha poi un diploma importante perché è uno dei documenti richiesti per le abilitazioni ad esempio all’insegnamento o per entrare all’università. Per fare tutti questi corsi i tempi medi sono 6-8 mesi per l’SFI a tempo pieno (ma non è difficile e si può lavorare volendo), 10 settimane per ogni SAS a tempo parziale o 5 a tempo pieno. Per quanto riguarda la paga, lavorando 40 ore settimanali, si va dai 1400-1500 netti del barnskotare ai 2300-2400 netti dell’insegnante. 12 mensilità, 25 giorni di vacanza l’anno (in ambito privato si può contrattare anche 30 giorni), che aumentano con l’età lavorativa. La vita è cara, ma considerati i servizi, si riesce a risparmiare. Questi sono i guadagni a Stoccolma, fuori Stoccolma sono leggermente più bassi, ma la vita costa anche molto di meno. Importante comunque sapere che lo stipendio è contrattabile, magari non è facile con il primo stipendio, ma già dal secondo si può richiedere più o meno quello che si vuole (rimanendo ovviamente in certi limiti) infatti tanti nella scuola, specialmente materna a Stoccolma, cambiano posto di lavoro piuttosto spesso per avere aumenti di stipendio significativi, insegnanti con 15-20 anni di esperienza possono anche guadagnare 3000-3200 euro netti.

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Cosa porteresti in Italia dalla tua esperienza? Oltre a tutte le cose meravigliose che mi hai detto.  Un regalo particolare che ti ha fatto la Svezia.

La possibilità, l’educazione civica. C’è un ufficio che chiama le persone anziane per sapere se sono morte o vive perché tanti sono rimasti da soli, per cui succede che una persona anziana rimanga nel letto morta per sei mesi. Lo stato provvede a tutto e a tutti. Ci sono un sacco di supermercati senza cassiera, ma solo con gli scan automatici perché tutti pagano il dovuto. Le città sono abbastanza pulite. Qui esiste davvero la possibilità di cambiare lavoro, da noi generalmente, entri in un posto e muori li’ e ad oggi sei fortunato ad entrarci. La possibilità di crescere, qui sono riuscito a mettere da parte i soldi per comprare una casa. Inoltre un po’ più di coraggio. Noi abbiamo tantissime idee in Italia ma abbiamo poco coraggio, anche perché non sei sostenuto dallo Stato. Qui ci provano e ti aiutano a creare nuovi progetti. In Italia sei un avventuriero e ti devi basare sulla buona sorte per riuscirci. Pensando a quanto guardano all’Italia, almeno in campo educativo (e mi dicono medico), mi domando perché non guardiamo a noi stessi e investiamo su di noi.
Ovviamente anche qua ci sono scandali, ad esempio recentemente un sindacato è stato travolto perché i dirigenti avevano organizzato una festa con i soldi della cassa del sindacato, un cifra attorno ai 3-4000 euro, ovviamente ridati tutti e i dirigenti si sono dimessi il giorno dopo. Però l’idea è che se sbagli sai che paghi e, c’è la certezza il denaro speso in tasse, ti ritorna con servizi di buona qualità. Scoraggiano in tante maniere il nero ad esempio. D’altra parte la Svezia è anche una delle poche nazione in Europa con il rapporto debito pil 34%. Questo è insomma un regalo nella misura in cui mi consente di avere un futuro.

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Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

1 Comment

  1. Ho letto l’articolo e mi ha trasmesso molta carica positiva, grazie! Sono una studentessa dell’ultimo anno di ‘ Scienze dell’educazione e formazione’ e il mio desiderio sarebbe quello di trasferirmi in Svezia dopo essermi laureata. Ho paura che il mio titolo un domani non possa valere in Svezia, o se si, non saprei come comportarmi o chi ente contattare.
    Se potreste darmi piu info al riguardo, sarei davvero contenta.
    Aspetto vostre notizie, ciao!

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