Il capitolo telecamere nei servizi educativi è di nuovo in discussione. Per l’ennesima volta. Come professionista sono contraria, le telecamere sono solo un cerotto temporaneo troppo costoso e soprattutto inutile. Ma ho spiegato meglio la questione qui.
Bisogna operare in termini preventivi e creare una cultura alla non violenza. Come accade in Inghilterra dove il problema non esiste o quantomeno si sposta su una linea differente. Proprio perché negli anni, la prevenzione ha fatto un lavoro massiccio che ha ostacolato con forza i casi di maltrattamento nei servizi educativi e nelle scuole.
Affrontare il problema alla base costruendo un sistema che protegga i soggetti e lavorare ogni giorno per rafforzare questa rete.
Questo apparato di prevenzione si chiama SAFEGUARDING, letteralmente salvaguardia.
All’interno si trovano tutti i tipi di abuso che un bambino può incontrare:
- abuso domestico, sessuale, emotivo e fisico;
- negligenza,
- Female genital mutilation (FGM),
- discriminazioni,
- bullismo.
In caso di adolescenti, adulti o persone disabili ci sono abusi come il cybullismo, l’abuso finanziario, e tantissimi altri.
Ogni professionista che lavora in un servizio educativo fa dei corsi frequenti per essere preparato su questo tema. Si imparano le misure da attuare, il comportamento da avere in certe situazioni, quali dinamiche possono scaturire varie reazioni.
Questo significa anche studiare i possibili campanelli d’allarme e come gestire la comunicazione con la famiglia e supportare il bambino abusato, cosa dire se un bambino dovesse “confessare” un episodio di violenza.
Insomma, vigilanza, sicurezza e protezione sono i capisaldi.
Da quando lavoro qui, di corsi del genere ne faccio almeno un paio all’anno. Più la supervisione costante su vari livelli.
Vengono effettuati anche dei test agli educatori. Di solito i manager che qui occupano il ruolo di “pedagogisti”, osservano il personale a cadenza mensile sul lavoro svolto testando anche la conoscenza del personale. In caso di scarsa preparazione, lo studio mirato e approfondito è sempre la risposta classica. Generalmente vengono chiamati “Learning walks”.
Vengono osservati anche i bambini, per comprendere se ci sono dei sintomi particolari.
In caso si notasse qualche segnale d’allarme, anche all’interno della struttura, ad esempio dei comportamenti sospetti di alcuni colleghi, bisogna avvertire subito il manager e le autorità competenti.
Ci sono due organizzazioni che si occupano del safeguarding e si devono contattare in caso di pericolo di abusi. Il MASH ovvero il Multi-Agency Safeguarding Hub fra cui i servizi sociali e la polizia, e il LADO (Local Authority Designated Officer) che si occupa di coordinare tutte le accuse e le preoccupazioni fatte contro una persona che lavora con i bambini.
Questo aspetto riguarda anche l’ambiente circostante con i “Risk assesment”, ovvero delle tabelle che bisogna controllare ogni giorno riguardanti la sicurezza, come ad esempio temperatura della classe, porte chiuse..
Inoltre, durante i colloqui di lavoro, le domande inerenti questo tema sono fra le più importanti. Ad esempio quali sono i tipi di abusi e cosa fare in situazioni di emergenza.
Si crea così un’intera cultura contro qualsiasi tipo di abuso, in cui ogni professionista è preparato a gestire eventuali episodi e soprattutto è vigile durante la sua giornata lavorativa a 360 gradi. Verso l’ambiente, colleghi e famiglie.
Si fa moltissima attenzione alle parole utilizzate, si sottolinea la gentilezza della comunicazione e alcuni termini sono severamente vietati come “monello” o “stupido”. Così come la voce troppo alta e le urla non sono ammesse.
Viene stimolato molto il confronto fra colleghi, il rispettivo interrogarsi fra varrie viscissitudini è la norma.
Ogni singola persona fa supervisione ai colleghi con cui lavora e considerando che il rapporto educatori-bambino è spesso (non sempre) rispettato, raramente ci si ritrova da soli a gestire la classe.
Pubblicità di questo tipo sono molto ordinarie. Si condivide un atteggiamento collaborativo e vigile.
“La sicurezza dei bambini è responsabilità di tutti”
“Se vedi qualcosa, fermala”
“Se sospetti di un abuso, devi riportarlo velocemente”
Nonostante ciò, alcuni istituti inglesi hanno deciso di installare delle telecamere ma è solo l’ultimo dei provveddimenti presi. Sono ancora un numero ridotto.
Si è sempre molto attenti durante il cambio pannolino ma si deve avere l’approvazione del bambino e MAI PER NESSUN MOTIVO farlo se lui non vuole. Questo non significa, essere loro schiavi ma trovare sempre il modo giusto per chiedere ad un bambino di essere cambiato e utilizzare un linguaggio in modo che loro si sentano sicuri. Di solito, ci si riesce sempre.
Ad esempio, durante uno dei primi giorni di lavoro, dovevo cambiare il pannolino ad una bambina. Una volta sul fasciatoio, ha iniziato ad urlare perché le stavo togliendo anche il vestito sporco. Dopo 10 secondi, la mia collega è corsa in bagno per aiutarmi ma anche controllare la situazione. In un’altra occasione, una bambina non voleva mai essere cambiata da nessuno. Erano pianti disperati e crisi isteriche ogni volta. Il mio collega ne ha parlato con i genitori e insieme hanno discusso sul da farsi.
Per questo sono sicura che i casi verificatisi in Italia, qui non sarebbero mai potuti accadere.
Come stanno facendo gli inglesi, dobbiamo coltivare una cultura di prevenzione. Fare corsi, aggiornarsi, attivare una mente e tradizione cultura tesa a proteggere i soggetti “deboli”. Dobbiamo anche parlare se si dovesse mai esser testimoni di qualche episodio significativo.
Dobbiamo puntare ad una formazione globale, costruendo una professionalità attenta e precisa perchè non puo esserci nessun progetto educativo senza la sicurezza. Dobbiamo essere in grado di riacquistare la fiducia dei genitori e dell’opinione pubblica.
Per questo, affermo con vigore che le telecamere sono uno strumento momentaneo. Non possiamo più attendere, dobbiamo attivarci ora, insieme. Costruendo un abbraccio collettivo e protetto per tutti. Bambini, anziani, persone disabili, famiglie comprese.
Come professionisti onesti è un nostro dovere.
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