Negli ultimi anni, ci si sta interrogando sul binomio regole-libertà, e su come l’educazione possa svilupparsi attorno a queste dinamiche.
I professionisti dell’educazione sanno che questo bivio è un falso dilemma, perché i due temi non sono contrapposti. La disciplina non è sinonimo di prigionia e le regole non sono nemiche della libertà.
Dobbiamo riflettere su cosa intendiamo per libertà e cosa rappresenta per noi un modello educativo liberale. In questi ultimi anni, sono nati diversi movimenti che si propongono come liberali giudicando il sistema scolastico e varie famiglie come troppo autorevoli. Con l’accusa di ingabbiare le reali passioni dei bambini.
Il principio base che guida questa riflessione è il pensiero che il bambino sia competente e sappia auto regolarizzarsi.
Ma cosa vuol dire seguire sempre le proprie pulsioni?
Perché seguendo lo slogan “Lasciamo i bambini fare ciò che desiderano” si rischia di danneggiare proprio questi piccolini e l’ambiente circostante, senza esserne consapevole.
Abituati a chiedere il permesso ai figli, mamme e papà consegnano al bambino la responsabilità di scelte alle quali ci si trova smarriti: “Vuoi andare a dormire?”, “Cosa vuoi mangiare?” quando magari alle elementari non riescono a preparare la cartella da soli o non sono autonomi nel vestirsi.
I bambini si ritrovano a dover fronteggiare delle decisioni non in linea con il loro sviluppo, senza dei margini che li guidino e finiscano per assumere comportamenti aggressivi.
Serve una rivalutazione dell’approccio di regolamentazione, in cui le regole vengano considerate uno strumento per sviluppare una libertà interiore personale e autentica. Esser in grado di gestire dei confini, ci permetterà di crescere non solo dal punto di vista personale ma anche etico ed emozionale.
Pensiamo a tutti quei bambini che non sono in grado di gestire le frustrazioni. Non solo di una semplice negazione alle loro richieste ma anche dal punto di vista del fallimento. Il No appare una parola quasi impronunciabile.
Su questo tema, viene citata sempre Maria Montessori. Chi ha davvero studiato il pensiero che guida la sua filosofia, sa che su questa linea è stata mal interpretata. Il principio montessoriano sostiene una promozione della libertà come una costruzione positiva del suo apprendimento del fanciullo.
“Il bambino lasciato libero nelle sue attività, deve trovare nell’ambiente qualcosa di organizzato in rapporto diretto con la sua organizzazione interiore” (L’autoeducazione nelle scuole elementari).
Questa concezione, è ben diversa dal lasciare libero il bambino di fare ciò che vuole e lasciarlo compiere attività incontrollate.
Pensiamo a quando un bambino ci chiede di mangiare tonnellate di caramelle. Sicuramente il bambino sarà felice e l’adulto si sentirà amato e apprezzato per la sua dottrino liberaria ma è davvero la strada giusta? Come adulti dobbiamo avere un pensiero più elevato, magari quel bambino avrà mal di pancia e forse dei problemi ai denti.
Quali conseguenze ha sullo sviluppo della persona questo tipo di educazione?
Dobbiamo concepire le regole come funzionali alla crescita dell’individuo, aiutando i bambini ad allenare il proprio sguardo e a costruire con supporto il loro percorso verso l’autonomia.
Chi frequenta una scuola montessoriana, sa che bambini di 2/3 anni sono in grado di apparecchiare la tavola e servire cibo e acqua, lavare bicchieri, piatti e posate. Usano il coltello con cautela. Giocano tanto con l’acqua ma sanno come pulire se sporcano, riescono a vestirsi (scarpe e giacca invernale comprese). Tutto in modo autonomo.
Spesso le scarpe sono invertite, e gli incidenti con l’acqua a pranzo sono quasi regolari ma il motto “Posso farlo!” è un modo di concepire se stessi.
Quale senso può avere una libertà priva di limiti, se i bambini non sanno destreggiarsi nella propria reale indipendenza?
Aver cura dei propri oggetti, riconoscere il proprio vestiario sono solo dei piccoli esempi.
In questo paradigma, le regole sono uno strumento per maturare l’autentica libertà interiore. Quella che ci aiuta a pensare a comprendere in quale spazio e tempo possiamo agire.
All’interno di limiti chiari, le regole definiscono spazi di libertà e di possibilità: entro questi confini i bambini sanno cosa è possibile fare, senza dover dipendere dagli adulti.
Esser in grado di governare questi limiti, è un’importante occasione di crescita per se stessi, per sviluppare empatia e rispetto verso gli altri e il mondo circostante. Per comprendere anche i bisogni di chi vive con noi, affinchè si possa davvero interiorizzare il concetto dell’altro da sé.
Questo non significa che dobbiamo elargire regole in ogni singolo istante. Non confondiamole con gli ordini che creano dipendenza perché dicono sempre che fare.
Le regole devono essere chiare, comprensibili e in linea con l’età dei bambini, affinché li aiutino ad orientarsi e ad esplorare in sicurezza ma autonomia. Definire un tempo e uno spazio in cui possano muoversi autonomamente.
Sono come una bussola intorno alla quale costruire capacità e abilità.
Ad esempio, pensiamo al momento del pranzo. È necessario che il bambino sia seduto nel modo corretto per motivi di sicurezza. Ho assistito a scene bizzarre in cui i genitori rincorrevano bambini con la forchetta a suon di danza, per far in modo che il piccolino in questione ingurgitasse almeno qualche fusillo. I bambini non si lasciano morire di fame e su questioni di sicurezza prioritaria, è obbligatorio mettere dei paletti.
Ovviamente in alcuni casi bisogna inserire degli obblighi. Come lavarsi i denti, vestirsi o non correre in mezzo alla strada ma quello che fa davvero la differenza è la consapevolezza dell’impianto regolativo che possiedono genitori ed educatori.
Come adulti abbiamo il dovere di accompagnare i bambini nel loro sviluppo di tutte le sue capacità e funzioni definendo le condizioni. Senza timori e inutili sensi di colpa ad esercitare il nostro ruolo di supporto. Acconsentendo ad ogni singola richiesta mettiamo solo delle pezze temporanee e tappiamo dei buchi, ma i bambini crescono, si allungano e certe pezze saltano via.
La pedagogia delle coccole, in cui i genitori sono amici e i nonni schiavi non è funzionale. Le regole sono essenziali soprattutto per il benessere dei piccolini. Senza farci intimorire da un pianto ma comprendiamo il motivo. Rispettando noi stessi le regolamentazioni che ci circondano, siamo responsabili delle nostre azioni e del nostro esempio pratico.
Ad esempio, sento spesso richiami ai bambini a non urlare ma come lo comunichiamo? Alzando la voce. Iniziamo noi per primi, a chiedere scusa, ad educare ad avere una voce pacata. Facciamo diventare i “Per piacere” e “Grazie” i nostri mantra. Anche nelle situazioni più familiari. Rendiamoli in grado di saper aspettare, un tempo in cui l’attesa può diventare preziosa.
Possiamo proporre due alternative rispettando dei confini. Ascoltiamo i loro bisogni e accogliamo il loro punto di vista ma ricordiamo che i piccolini sono loro e noi grandi abbiamo delle responsabilità diverse.
Rispettando noi stessi le regolamentazioni che ci circondano, siamo responsabili delle nostre azioni e del nostro esempio pratico.
Stringiamo le loro mani ma non sostituiamoci a loro, incoraggiamoli a provare in un contesto sicuro stando di fianco a loro, diventiamo dei porti sicuri in cui loro possano sentirsi accolti ogni qual volta ne sentano la necessità.
Diventiamo abili a capire il momento giusto per allargare il campo d’azione, a tentare e a incontrare l’inevitabile fallimento.
Come educatori dovremo esser capaci di cogliere gli obiettivi dei confini che diamo, cogliendone il significato più profondo.
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