Qualche giorno fa, ho ritrovato uno dei vecchi diari che tenevo quando ho iniziato questo mestiere. Rileggendo le mie note, ho percepito una lieve tenerezza. Ero tanto testarda quanto impacciata. Oggi vorrei poter dare dei piccoli consigli alla mia me di allora, e soprattutto a chi vorrebbe fare questo lavoro ma non è tanto convinto, a chi crede sia la strada giusta ma forse non sa com’e.
Caro futuro/a educatore/ educatrice,
Studierai tanto, ma nessuno ti dirà come reagire alle provocazioni di un adolescente, soprattutto quelle a sfondo sessuale. Perché l’educazione sessuale è un tabù e te ne renderai conto.
Imparerai che in comunità gli anni valgono doppio, e più che un educatore/educatrice sarai un mac-giver dell’educazione, il tuttofare dell’inclusione che passa a preparare pranzi per 20 persone, a comprare vestiti in stock contando i centesimi, a sostenere colloqui pieni a livello emotivo, gestionale e organizzativo. Capirai che le crisi sono quotidiane, ti aspetteranno inseguimenti sotto la pioggia e spesso l’obiettivo non è quello che avevi prefissato, e lavorerai per la riduzione del danno.
In tutto questo marasma, dovrai anche proteggerli cercando un abbraccio che cerchi di far trovare a loro un po’ di sana serenità, anche sbagliando.
Dovrai affrontare i colloqui con genitori, avvocati, assistenti sociali, professori. Ascoltarli tutti, e cercare di fare il punto della situazione per la sanità mentale dell’utente ma anche tua.
Lotterai contro gli stereotipi di qualcuque tipo. Quelli che considerano gli immigrati colpevoli di qualsiasi cosa, i bambini sempre teneri e dolci e soprattutto quelli al tuo lavoro.
Ostacola il “È sempre stato fatto cosí” come la peste bubbonica. Studia il fenomeno, proponi altenartive, avanza delle possibilità. Con educazione ma competenza, senza erigerti mai superiore.
Diventerai campione/ssa di multitasking, saprai dove parcheggiare il pulmino quando andrai a prenderli a scuola lontano dall’uscita principale, ma abbastanza vicino da percorrerla a piedi in qualche minuto.
Le parole diventeranno il tuo strumento di lavoro principale, per cui fai attenzione. Anche quelle sussurate, o non dette. Informati su un linguaggio inclusivo a 360 gradi.
Non ti scoraggiare se qualcuno ti insulterà, fa parte del gioco. Non è troppo personale.
Dovrai gestire la tua parte emotiva affinchè non condizioni il tuo lavoro.
Uscirai dal lavoro come se avessi fatto la spedizione montanara dell’anno. È il peso della responsabilità, sappi che negli anni si alleggerirà ma solo un pizzico. Inizia a farci l’abitudine.
Ti verrà da piangere, va bene anche questo. Trova il momento adeguato per farlo.
Esigi una supervisione, prima di trovarti davanti al burrone del burnout.
Darai un significato proprio al verbo “educare”, che guarderai sotto una luce nuova.
Non fare questo lavoro perché ti piacciono i bambini. I piccolini ti massacrano. No, non è una battuta. Smantellano ogni tua sicurezza e la buttano dalla finestra.
Il gioco è una parte così importante dello sviluppo neurologico che diventa essenziale gestirla in modo professionale. Elabora le attività progettando materiali, grado di difficoltà, supervisione e valutazione finale.
Studia come progettare gli ambienti, perchè è una variabile fondamentale del processo di sviluppo. In qualsiasi servizio ti troverai. Elabora gli spazi con criteri professionali, si sta sviluppando un’ampia letteratura in merito.
Evita i giudizi, sempre. Verso i genitori e nei confronti dei bambini. Immaginali grandi. Non puntare il dito ma guardati allo specchio e osserva dagli angoli, soprattutto quelli più nascosti. Dietro al disagio, c’è sempre una motivazione che ti farà sentire inappropriato, incapace e soprattutto nudo.
Quando non saprai come comportarti, parlane in equipè, confrontati con i colleghi più anziani. Ascolta tanto, osserva con attenzione, annota quando puoi e fai domande nei momenti opportuni.
Camminerai a 10 metri da terra quando finalmente capirai il modo in cui girare la chiave per far entrare un po’ di luce. Capirai che per smussare gli angoli e azionare dei progressi, servono mesi di lavoro, e saranno sempre troppo pochi.
Studia tanto, e in continuazione. Aggiornati, circondati di colleghi motivati e competenti, anche a distanza. Trova convegni, luoghi e persone che stimolano una conoscenza approfondita. Cerca riferimenti teorici, e ricerche scientifiche per dimostrare la tua tesi. Sarà faticoso ma necessario.
Piangerai tanto, per stanchezza e disperazione. Perchè il tuo stipendio non arriva e quando lo fa, è davvero basso. Quando non sarai in grado di gestire il tuo gruppo, e incontrerai colleghi con una linea di pensiero opposta alla tua.
Trova la tua utenza, scegliendo secondo la tua attitudine. Pensa a dove potresti diventare competente, rispetto alla fascia d’età e ai compiti da svolgere. La formazione sarà continua per cui è consigliabile un ambito di lavoro che ti soddisfi.
Questo vuol dire che se lavorerai con gli anziani, dovrai essere in grado di affrontare quotidianamente la dimensione della morte. Lavorare al nido, cambiare i pannolini, ammallarti per il primo anno di lavoro e supportare bambini e genitori in egual misura. Chi lavora con la disabiltà affrontare sfide sotto infiniti punti di vista.
Se trovi un servizio che potrebbe piacere o sei solo curiosa/o, chiedi di poter fare delle visite per osservare e imparare.
Ti commuoverai quando riuscirai a far entrare un po’ di luce nelle tenebre del mutismo. Quando un papà ti abbraccerà perché sua figlia nonostante la sua disabilità è felice e sta diventando più autonoma. Verserai lacrime quando ti confesseranno che loro sono sfiniti e che il tuo lavoro è utile tanto alla figlia quanto alla loro coppia genitoriale.
Non considerare la tua sensibilità come uno ostacolo, è il tuo elemento caratterizzante e vanne fiero/a.
Impara a chiedere aiuto, a chi lavora con te, ai libri, alle ricerche online. Mostrare le tue debolezze non è sinonimo di non professionalità ma di sana umanità.
Hai scelto una professione gigante e imponente che costruisce come una formichina costruzioni speciali. Abbi cura di te.
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