Non è che noi ci occupiamo dei bambini perché li amiamo: al contrario, noi li amiamo perché ce ne occupiamo» Alison Gopnik
Come professionisti della cura, metà del nostro lavoro si traduce nel costruire una buona collaborazione con i genitori dei nostri utenti. Questo significa per la maggior parte delle volte, interfacciarsi con una superiorità numerica femminile.
Lo sappiamo, diventare madre è un passaggio più lineare, la gravidanza è un percorso fisico ed emotivo imponente. Questo contribuisce a costruire un legame fisico con il bambino, mentre il padre fa un’esperienza più mentale.
Se pensiamo al percorso storico dei papà, l’uomo non è sempre stato padre ma ha svolto una figura più generativa che paterna. Storicamente è una figura nuova, il papà più accogliente ed interessato alla vita dei figli ha sostituito il padre padrone. Ed è uno dei motivi della crisi dei nuovi papà, perché non hanno degli esempi su cui trarre esempio.
Per ritrovare dei modelli, riescono difficilmente a farlo imitando i loro padri ma devono guardare al genere femminile sottolineando però che le funzioni educative non sono legate al genere, e le coppie omogenitoriali e omosessuali lo dimostrano ogni giorno. L’educazione non è esclusiva femminile, per questo bisogna imparare a condividere e collaborare.
Come sostiene Duccio Demetrio, i nuovi papà stanno imparando quel linguaggio dell’interiorità della cura che per millenni hanno delegato all’altro sesso.
La sostanziale differenza tra i nuovi e vecchi papà è l’attitudine ad uscire dagli schemi predefiniti, ad esserci anche nell’ambito affettivo ed emozionale. Quando si riesce a fare questo passaggio, si parla di “mammo”, un linguaggio discriminante che affida al genere femminile l’autorità in termini di educazione. Come se per prendersi cura dei propri figli, l’unico modo sarebbe quello di imitare la madre.
Dati Istat del 2012, ci dicono che i giovani uomini che oggi sono padri effettivamente passano più tempo coi propri figli di quanto facessero i loro padri e i loro nonni, ma lo fanno soprattutto svolgendo con loro attività ludiche più che di accudimento in senso stretto. In Italia, oltre il 60% del tempo che i padri passano coi figli è in gioco e interazione: più della metà ci parla e gioca, ma meno si dedica alle cure materiali come lavare o dar da mangiare, a portare a letto tutti i giorni i propri figli è oggi un padre su 4, sono molti meno quelli che li vestono. Il tasso di utilizzo del congedo genitoriale da parte dei padri è restato basso: nel 2011 solo il 7% dei padri che aveva un figlio sotto gli 8 anni ha utilizzato almeno una volta il congedo genitoriale, contro il 45,3% delle madri.
Insomma, l’esperienza di cura viene messa in pratica come secondaria rispetto a quella della madre: “la aiuto in casa”, oppure “faccio il mammo” sono espressioni che rimandano a un ruolo supplente rispetto a quello principale esercitato dalla mamma, e ricordano quanto, a livello di cultura della condivisione di genere della cura realmente paritaria, molti passi si debbano ancora fare.
Gli adulti di oggi sono i bambini di ieri, e per questo dobbiamo lavorare tanto sulle prospettive e aspettative di genere, perché influenzano il rapporto che bambini e bambine avranno da adulti con la libertà di scelta, nel senso più ampio e concreto che esista.
Proprio la nuova paternità può portare con sé un cambiamento dei ruoli di genere. Esser padri emotivamente coinvolti e accoglienti non solo è più comune, ma può trascinare un nuovo modello di mascolinità.
È necessario lavorare su una condivisione paritaria tra uomini e donne: ma questo deve avvenire tanto sul piano della genitorialità quanto su quello dei ruoli di genere. Perché se i papà hanno una nuova responsabilità, è corretto che anche le madri capiscano l’importanza della funzione educativa del loro compagno genitoriale.
Sentiamo spesso frasi come “faccio direttamente io perché lo faccio prima e meglio” o “ci metterai più tempo a spiegarglielo che a farlo”. Ecco, si dovrebbe imparare a fare dei passi indietro.
Capire che tante azioni, possono esser fatte anche in modo diverso, a volte imperfetto o solo differente da come si è abituati è già un passo notevole.
Sappiamo quanto sia urgente una campagna di sensibilizzazione per i padri, politiche che favoriscano un congedo di paternità decente e la possibilità del part-time per entrambi. Insomma, bisogna puntare in alto ma nella nostra quotidianità possiamo iniziare con altri importanti gesti.
Lasciare lo spazio e il tempi ai papà di fare il loro lavoro, senza una supervisione femminile inutile e spesso anche dannosa.
Come operatori, non deleghiamo la responsabilità solo alle madri, coinvolgiamo i papà, rendiamoli partecipi della vita del servizio in cui operiamo. Per la mia tesi di laurea della magistrale a tema “La figura paterna con un/a figlio/a disabile”, incontrai un sacco di papà che davanti alle mie domande risposero in tanti con “Mi fa piacere esser d’aiuto, finalmente qualcuno ha chiesto anche la mia opinione, è la prima volta che mi capita”.
Chiediamo a loro di partecipare ai colloqui, ed evitiamo di storcere il naso se dovessimo vedere bambini con vestiti poco armocromatici e code di cavallo storte. Usiamo un linguaggio inclusivo che renda partecipativi i padri.
Per celebrare questo meraviglioso ruolo, vorrei consigliarvi alcuni albi illustrati che raccontano la figura paterna con una sensibilità delicata e divertente.
Primo fra tutti, “Papà isola” è la storia di un papà orso che mostra un po’ di paura nel suo futuro ruolo come genitore. Interverrà mamma orsa a raccontargli quanto nell’essere papà si nascondano tantissimi altri ruoli tanto meravigliosi e utili per il piccolo orso.
L’attenzione si sposta dal tema del saper fare al poter essere.
Non sarà necessario che papà orso sia in grado di costruire una capanna per il suo piccolino, perché lui stesso sarà la sua capanna, quindi rifugio e protezione. All’interno di ogni fantasia, si nascondono dei piccoli mondi emotivi che si traducono in sostegno, cura, e tantissimo affetto.
Un albo in cui illustrazioni tenere si mescolano ad una narrazione semplice ma non banale e soprattutto veritiera e magica che racconta tutta la meraviglia dell’essere papà. Un super regalo per i papà in attesa!
Rimaniamo in casa Babalibri dove la magia è assicurata. “Ci pensa il tuo papà” è un dialogo fra un papà e il suo piccolino (anche in questo caso, due orsi). Una storia che si traduce in una pioggia di domande del piccolo al padre, che riesce a rispondere sempre con sicurezza e rassicurazione.
“Cosa faresti se cadessi in acqua?”, “e se nell’acqua ci fossero i coccodrilli?”, “e se un mostro volesse rapirmi?”….
Parole e immagini che si fondono con il significato dell’albo, un segno di fiducia per un papa’ in grado di salvare il suo piccolo dai dinosauri, scimmi e alieni strampalati. Una storia perfetta per la buonanotte, come a dire “Sogni d’oro piccolino, non preoccuparti, ci pensa il tuo papà!”. So di grandi omoni che si sono commossi davanti ai due orsi, insomma merita attenzione!
Un’altra storia che amo è “P di papà”, una vera celebrazione di tutti i papà ‘possibili’. Un albo come una filastrocca, una poesia, come se fosse una formula magica da recitare.
Il tutto ridefinito da illustrazioni particolari e sintetiche, realizzate con pochi colori (marrone ed ocra in contrasto con l’azzurro e l’arancione) che mostrano un punto di vista prima vicino e poi lontano per creare una sorta di musica e ritmo alla storia. È impossibile non innamorarsi.
“Papà connesso” è un nuova pubblicazione che narra di un padre sempre collegato. I suoi occhi non si staccano mai dallo schermo. Guarda il meteo, le notizie dei giornali, e si intrattiene con i suoi 532 amici di Icebook.
Completamente coinvolto dalla sua vita virtuale, si dimentica di moglie e figlio. Finché un giorno un problema di rete lo priva della connessione. Accecato dalla rabbia esce dal suo igloo alla ricerca vana di un collegamento… Un divertente albo illustrato per raccontare l’assurdità della vita di chi resta sempre connesso, dimenticando le vere relazioni a vantaggio di quelle virtuali. Illustrazioni ironiche e di impatto, a me è piaciuto parecchio. Se siete sensibili al tema, lo consiglio.
Per un discorso inclusivo a tutto tondo, è necessario menzionare anche “Stella, babbo e papà”. Cosa significa esser una famiglia? Da chi è composta? In questo albo, Stella ci racconta la sua storia con i suoi babbo e papà. È una storia che mostra quanto sia l’affetto che si prova per ognuno a concepirsi come famiglia! Soprattutto se ci sono anche una valanga di amici e zii pronti a sostenere i piccolini.
Certo, non avere una mamma da presentare alla festa della mamma non è piacevole ma si sa che i piccolini hanno un problem solving elevato quando si tratta di volersi bene. Stella ricorda, soprattutto ai grandi che credono sempre di sapere tutto, che i bambini la sanno lunga sull’amore e sull’affetto e che il problema famiglia normale o no è solo una questione lessicale. Famiglia è ovunque ci sia amore come in quella di Stella. Un libro per i piccini ma in modo particolare a tutti quei “grandi” a cui bisogna ricordare le più basiche lezioni di diritti, affetto e famiglia.
Termino con una bella dichiarazione d’amore o meglio dire dei diritti per e dei papà, con la partecipazione di Amnesty International Italia con “La dichiarazione dei diritti dei papà“. Sottolinea alcuni diritti tanto semplici quanto non banali.
Come l’importanza di alzarsi la notte, coccolare e cambiare i più piccoli, di non essere sportivi e muscolosi, di non saper aggiustare nulla ed essere comunque dei super papà.
Qui trovate il mio testo “Dalla parte dell’educazione”
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