Come educare alla cura del bello

Il bello. Un tema tanto controverso quanto essenziale, che ogni cultura e disciplina declina in modo diverso. Il bello colpisce, interroga, spaventa, ma una cosa è certa: è materia stessa dell’educazione.

Per questo, ho chiesto ad una cara collega pedagogista, esperta di quanto la bellezza possa davvero far la differenza nel percorso educativo dei nostri utenti, di scrivere insieme questo articolo. Martina Tarlazzi, dello Studio Pedagogico Epochè di Faenza, lavora da anni con il progetto di cui vi avevo parlato Make up your smile Up, e tiene conferenze su quanto sia essenziale condividere un certo pensiero sul bello in ambito educativo. Anche se è un tema controverso e spinoso. 

Basti pensare a commenti tipo: “Ci sono cose più importanti da fare con i ragazzi” oppure “Non è una priorità” ed è già chiaro che molti educatori non si soffermano a riflettere su questa tematica, presi come sono dalle incombenze quotidiane che un lavoro in comunità residenziale o all’interno di un centro di aggregazione per adolescenti possono riservare. Ma basta fermarsi un momento a riflettere per constatare che il bello non deve essere qualcosa in più da fare, ma un atteggiamento di fondo, una prospettiva, uno sguardo.

Come ogni cosa in educazione, anche il bello non può essere trasmesso senza una piena esperienza del valore stesso da parte dell’adulto che educa, e proprio per questo motivo, è necessario che il tema dell’educazione al bello venga posto alla base di ogni azione educativa.

Educare al bello non vuol dire infiocchettare o rendere artificialmente bello un luogo solo per puro estetismo, ma ha a che fare con una piena trasmissione di quell’I CARE cui Don Milani teneva in modo particolare: mi importa di te, quindi rendo luogo e atto educativo il più curato possibile proprio per te.

Si educa al bello attraverso numerose azioni, che si possono esercitare in tutti i servizi in cui operiamo come educatori e pedagogisti. 

la cura dei materiali che scegliamo. Quante volte si vedono nelle strutture educative materiali logori, rotti o sporchi? Questo accade perché la logica che guida e’ quella del risparmio, non solo economico che si può bene comprendere, ma soprattutto quello mentale. In cui gli oggetti di valore non possono esser usati dalle persone disabili perché sarebbero sprecati, dai bambini piccoli perché non apprezzerebbero la ricerca dell’estetica.  Invece è necessario mettere in ordine i materiali usati, pulire ogni biglia e gioco, lavare le federe dei cuscini, aggiustare con nastro adesivo e in caso cambiare i libri esposti, eliminare o riparare ciò che si è rotto. Insomma, un tipo di cura autentico e interessato. Qui ci viene in aiuto Munari che sosteneva: “Un oggetto deve essere utile ed etico. Deve risolvere un problema, insomma, senza però rinunciare a essere bello.”

La bellezza degli ambienti, che devono essere luminosi, aerati, che concedono possibilità di movimento e flessibilità nella strutturazione delle attività. Le classi come le comunità e i centri di aggregazione devono essere puliti e in linea con l’idea di educazione che vogliamo sostenere. Significa spolverare gli scaffali e le librerie, scegliere con attenzione dove riporre il tavolo e le sedie, organizzare gli arredi in modo che tutti gli utenti siano indipendenti. Pensiamo ad esempio ad un tavolo ad altezza bambini con una brocca e i bicchieri affinché siano tutti liberi di decidere quando bere, e scegliamo bene quali stoviglie utilizzare.

So che l’arredo Ikea con i suoi bicchieri di plastica economica è il più utilizzato ma ci sono infinite opzioni, anch’esse economiche.

Come gli arredi di una comunità. Il solo abitare spazi con le pareti imbiancate e l’attenzione a tutti gli ornamenti fa vivere un’esperienza positiva di cura, una di quelle per cui senti la differenza.

In uno stage formativo, sono stata per una settimana in un centro di aggregazione nella provincia di Pozzuoli, uno di quelli in cui i bambini e ragazzi avevano tutti delle storie pesanti da portarsi dietro, vivevano nelle baracche e spesso uno dei genitori era in carcere. Alla ristrutturazione del centro, tutti gli arredi profumavano di nuovo, ed erano anche funzionali per il servizio che esercitavano. anche questo era una modalità per educare al senso estetico e dunque ad una cura reale e funzionale. 

La cura della persona che educa. Anche gli operatori non sono esenti da questa tematica, per cui pulizia ed igiene sono prioritarie, ma anche assenza di anelli, collane e braccialetti che possano far male ai bambini di cui ci si prende cura, o oggettistica che può impedire lo svolgimento del proprio lavoro. Significa anche comprendere che tipo di vestiario utilizzare in un contesto lavorativo, anche se siamo in contesti informali. In Italia ricordo come noi educatrici fossimo in tuta all’asilo nido, un abbigliamento comodo e pratico ma l’Inghilterra mi ha costretta a riflettere anche su questo punto. Qui tanti servizi chiedono l’uniforme, ovvero una divisa specifica ma chi non adotta questa pratica, invita i propri collaboratori a indossare un abbigliamento consono ma non sportivo. Niente jeans nelle scuole ad esempio, o leggins nelle scuole dell’infanzia. Spesso, lavorando come esperti relazionali, ci dimentichiamo che rappresentiamo un’intera categoria professionale ma è ben sottolineare anche la giusta distanza che deve intercorrere fra educatore ed utente, senza che questo alimenti nessun tipo di freddezza nei rapporti. 

La bellezza della documentazione, organizzando al meglio testi, fotografie e video in modo che il risultato finale sia efficace, facilmente consultabile, maneggevole ed esteticamente ben fatto. Per cui controlliamo l’ortografia, incolliamo come si deve le foto, scriviamo con la penna della stesso colore la stessa pagina. La cura passa anche da questi gesti. 

– delle proprie parole, usando vocaboli adatti alla fascia d’età che si educa, senza termini seduttivi o parolacce, ma soprattutto con un tono della voce adeguato e rispettoso dell’ambiente e delle persone che si hanno di fronte. Su questa tematica, vorrei approfondire con un articolo a parte. 

delle proposte educative, che possano essere davvero personalizzate e pensate per quella persona, evitando di proporre esercizi preconfezionati, visti e rivisti senza un vero aggiornamento professionale quotidiano come se tutti gli utenti con la stessa “diagnosi” o fascia d’età abbiano caratteristiche identiche. 

La bellezza nei confronti dell’arte. Negli ultimi anni anni molte sono state le sperimentazioni che hanno visto nel binomio bambini-arte, un’ottima “scoperta”. Accompagnare piccoli, ma anche persone con disabilità e adolescenti, nella conoscenza del bello artistico, stimola lo sviluppo cognitivo perché permette la conoscenza di un mondo estetico profondo che può sostenere loro anche nell’esprimere le proprie emozioni. Frequentare i musei, luoghi magici di colori e oggetti interessanti,  parlare con loro di un’opera d’arte permette di costruire una base di una coscienza critica e culturale, così da avere più strumenti per comprendere la realtà, e avere un bagaglio culturale più ampio.

Avere un rapporto frequente con tutto ciò che può esser definito artistico, aiuta anche a favorire l’immaginazione e la creatività. Per questo, scegliamo albi illustrati di qualità (e sicuramente questo tema merita un approfondimento), torniamo al museo più volte perché si scoprirà sempre qualcosa di interessante e potranno cambiare anche le domande.

L’Europa è stracolma di iniziative per avvicinare bambini e arte, a Londra si vedono sempre grandi laboratori per i più piccoli, con degli spazi adeguati per loro. Come New York con il Moma che ha un’area davvero organizzata. 

In Italia invece è da sottolineare l’iniziativa dell’asilo nel museo nato a Firenze, che si baserà sul Reggio Emilia Approach.

La letteratura scientifica in merito non manca, ma ci sono due testi che reputo fondamentali nel processo dell’educazione al bello. 

Primo fra tutti, il testo di Dallari e Moriggi, “Educare bellezza e verità”.

Un piccolo libricino di recente pubblicazione (edizioni Erickson) che riporta autentiche esperienze di bellezza a scuola. Sono illustrati alcuni esercizi pratici che possono essere svolti in classe per aiutare i bambini ed i ragazzi a vedere quotidianamente la bellezza in modo che, come suggeriscono gli autori, si possa “Favorire la scoperta di illuminazioni estetiche, di epifanie capaci di insinuare il sospetto che la vita possa riservarne altre nell’amore, nell’amicizia, nella conoscenza, nell’attenzione, nelle relazioni con le persone e con il mondo, nel silenzio, nell’esplorazione del proprio patrimonio interiore”. (p. 168)

Proseguiamo con un altro caposaldo della pedagogia, ovvero “Ragazzi difficili” di Bertolini.

Il capolavoro di Bertolini ci ricorda sempre lo sguardo che dobbiamo avere verso i ragazzi. Uno sguardo aperto, non giudicante, che riesce ad introdurre schemi nuovi a partire da quelli vecchi: prima accogliendoli, poi mettendoli in discussione, infine modificandoli. La bellezza si caratterizza come pilastro primario in educazione, che porta i ragazzi ad una presa di cura di sé e dei luoghi che abitano (es. comunità residenziali), al fine di contaminare con il suo potere tutte le altre dimensioni del ragazzo da educare. Lo sguardo fenomenologico è primario in quest’opera e Bertolini riesce a trasmettere la bellezza di educare nei contesti difficili. Da leggere!

Infine, vi suggeriamo “La dimensione pedagogica della Paideia” di Dallari. 

Un volume che è diventato pietra miliare della pedagogia fenomenologica legata alla dimensione estetica, scritto per tornare alla bellezza dell’arte, della creatività e dello stupore in educazione. Una serie di parole e concetti chiave utili ad ogni educatore al fine di ritrovare continuamente un paradigma in quello che sta facendo.

Solo avendo cura di ogni aspetto sia di noi stessi che della persona che abbiamo davanti, possiamo trasmettere quella bellezza che è alla base di ogni relazione educativa, autentica e orientata al bene.

Trovate un approfondimento di queste tematiche nel mio testo “Dalla parte dell’educazione”

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Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

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