È un periodo storico carico di rancore da svariati punti di vista. Dove la politica gareggia per chi vuole costruire il muro più alto e manca ancora un educazione ai sentimenti, per essere in grado di accoglierli, riconoscerli e gestirli.
La grande psicoterapeuta Alice Miller, nel suo libro “La persecuzione del bambino” racconta, quanto un certo tipo di educazione costituita dalla violenza e dall’obbedienza indiscussa possa provocare nei bambini un corto circuito, in cui la rabbia e l’odio sono i protagonisti principali. A prova della sua tesi, porta alcune biografie, tra cui Adolf Hitler.
Indagando nella sua infanzia, si scopre che la sua unica figura di riferimento fu un padre aggressivo e autoritario, che usava la coercizione fatta di legnate per trasmettere un messaggio positivo, e quindi per il bene del figlio. Hitler crebbe in un clima familiare in cui ha dovuto negare i propri sentimenti e questo ha provocato il divampare di un pensiero in cui il genocidio serviva per il benessere del proprio popolo. Secondo la sua esperienza, era un’equazione che avrebbe ottenuto un buon risultato. Una logica perversa e frustrante che vede nella persecuzione d’odio il suo splendore.
È anche di facile pensiero la conseguenza tragica che chi vive quotidianamente e sperimenta la violenza come costrizione massiccia, e aver costruito dei palazzi di risentimento dentro di sé, è stat* costrett* a costruire delle strategie difensive che provocano rabbia e rancore. Un corto circuito infinito.
L’infanzia è un periodo così delicato e importante per la costruzione della personalità di un individuo, che scegliere di reprimere tutti i sentimenti e costruire una montagna di rabbia interiore è un percorso pericoloso e soprattutto incosciente.
Ciò che sarai dipende dal patrimonio che hai vissuto e costruito.
Per questo ci serve un’educazione sentimentale. Ovvero la capacità di riconoscere le proprie frustrazioni, riuscire ad elaborarle e comprendere quanto possa essere dannoso riversare odio sugli altri. Come scrivere commenti pieni di odio sui migranti, capitane di “navi”, o semplicemente persone che conosciamo tramite uno schermo.
Negli ultimi anni, si sta affrontando la tematica della gestione delle emozioni nella prima infanzia. Spesso brancolando nel buio. Innanzitutto sul valore delle emozioni, come se ci fossero due fazioni, “negative” e “positive”, presumendo che le prime siano da reprimere, in qualche modo “sbagliate”. Invece, è bene sottolineare come le emozioni non abbiano dei segni più o meno. Le emozioni vanno accolte tutte, e non bisogna metterle sul piano dell’utilità, perché non sono né positive, né negative. Pari, palla al centro.
Come adulti, e soprattutto per chi gli educatori, abbiamo il compito di accompagnare i piccolini nelle modalità sane di espressione e gestione delle proprie emozioni.
Innanzitutto verbalizzandole, non cercando di nasconderle. Aiutiamo i bambini a dire “Sono arrabbiato/a perché…” e non minimizzare i loro stati d’animo, anzi cerchiamo di comprendere le loro motivazioni e sosteniamo una narrazione emotiva.
Probabilmente la difficoltà risiede, oltre alla mancanza di formazione, al timore dell’adulto di non saper gestire le reazioni del bambino di fronte al rispecchiamento sincero delle emozioni che sta provando. Pensiamo ad un bambino a cui manca la mamma o il papà, si potrebbe accogliere la tristezza con “Stai piangendo perché ti manca tanto la mamma, lo capisco”. È più probabile che di fronte a questa risposta il bambino sosti nel suo stato emotivo (in questo caso la tristezza/malinconia) più di quanto non ci rimanga se si prova a distrarlo. Solo conoscendo, attraversando l’emozione, i bambini possono imparare a conoscerla e gestirla nel tempo.
Non giudicando la rabbia con aggettivi negativi, ma cerchiamo di comprendere le motivazioni di fondo, anche in relazione all’età di riferimento. Ad esempio, i bambini tra i 0 e i 3 anni, avendo un vocabolario ridotto, provano a comunicare con i mezzi che hanno. Morsi compresi. In questa fascia d’età, ogni emozione equivale ad una azione e la spontaneità dei comportamenti è una caratteristica predominante.
I bambini faticano a gestire le proprie emozioni perché lo sviluppo del loro sistema nervoso e neurologico è ancora nella fase iniziale, per questo come adulti mediatori dobbiamo trovare la via corretta per accompagnare i piccolini nel processo di apprendimento della regolazione emotiva.
Non ci sono delle regole chiave, ma sicuramente degli accorgimenti importanti. Ne ho parlato qui.
Chiunque riesca a comprendere e a integrare la propria collera come parte di se non sarà mai un violento. Avverte il bisogno di colpire gli altri soltanto chi non riesca a comprendere la propria rabbia, dato che non gli e’ stato consentito, quand’era un bambino, di acquisire familiarità con tale sentimento che egli non ha mai potuto vivere come una parte di sé, visto che nell’ambiente che lo circondava ciò era assolutamente impensabile” (Alice Miller)
Alice Miller scrive queste righe nel 1987, come a ricordarci che ogni adulto è stato un bambino e proprio per questo è essenziale avviare un vero e proprio cambiamento culturale che metta in nuova luce un’educazione dei sentimenti.
Nella mia particolare esperienza, negli ultimi anni ho notato un innalzamento del livello di conoscenza e approfondimento rispetto a questa tematica negli operatori della prima infanzia 0-3, per poi perdere la sua potenza con i successivi gradi di scolarizzazione.
Ed è questa una delle forti mancanze dell’attuale sistema educativo, la totale assenza di un approccio che mira a stimolare la capacità empatica.
Pensiamo anche agli attacchi terroristici di Parigi del Bataclan. I giovani attentatori sono cresciuti in Francia, e non hanno avuto pietà ad uccidere dei ragazzi della loro età, forse dei loro compagni di scuola. Oppure senza scomodare fatti di importanza mediatica, pensiamo alle valanghe di odio che ogni singolo giorno vediamo sui nostri schermi. Senza nessun pensiero critico, e le vittime sono le più disparate: chi viene insultato per il peso, chi per la provenienza, per le idee politiche, per essere una donna.
Io ho ricevuto dei commenti razzisti ad un post sul mio blog in cui raccontavo il mio rammarico sulla poca empatia ai funerali delle vittime del ponte di Genova, oppure quando condivido il pensiero basato su ricerche scientifiche sugli stereotipi di genere. Mi sono arrivate delle pesanti critiche anche di fronte ad un lutto. Insomma, nessuno qui è escluso.
Quando la situazione non piace, e non riusciamo ad affrontarla in modo sano, c’è l’allarmante esigenza di scaricare sugli altre valanghe di rancore. Diffamazioni, calunnie e minacce, non si risparmiano insulti e giudizi.
Per questo, è necessario allargare il nostro sguardo e iniziare a pensare in termini di una comunità educante in cui tutti sono i responsabili dell’educazione del proprio territorio, partendo dalla storia, dai programmi per sensibilizzare ed educare all’empatia. Ne ho parlato qui.
Serve un cambio di rotta totale e forte.
Intanto, come pedagogista, non posso che approvare e condividere l’iniziativa di “Odiare ti costa”, lanciata dall’associazione Tlon e dallo studio legale Wildside di Bologna per perseguire in sede civile gli insulti, le minacce, e anche gli auguri di morte che diventano sempre più comuni e quindi legittimi.
L’obiettivo è far in modo che a ogni commento d’odio in rete corrisponda una sanzione pecuniaria. Questo per segnare il confine tra libertà di parola e insulto o diffamazione e iniziare a costruire una società realmente paritaria, dove odio e discriminazione non abbiano più spazio. Ovvero, il confine tra ciò che si può fare e ciò che non si deve fare.
Non significa “Odiare gli odiatori” come qualcuno ha scritto, ma iniziare a sensibilizzare alla riflessione, e pensare che le parole hanno un peso legale, anche se digitate alla nostro interlocutore.
Non è nemmeno contro la libertà di opinione perché le vittime di questo odio non hanno bandiere politiche. Hanno insultato Laura Boldrini e Giorgia Meloni in egual misura. Le opinioni devono rimanere libere ma bisogna porre un limite legale e civile a ciò che si può esprimere, una linea netta tra la libera opinione e l’insulto. Per usare un’espressione tanto cara a certa retorica dominante: cosa diresti se accadesse a tua madre, a tua sorella, a tua moglie? Questa iniziativa è anche in loro tutela.
È un’iniziativa che propone un’azione legale che non cambia la cultura di riferimento, ma tutela le persone.
Mentre educhiamo i bambini ad un corretto buon uso dei sentimenti, e formiamo gli adulti ad accogliere la responsabilità di accompagnare i più piccoli in questo percorso, è necessario una manovra. Pe tutti.
Illustrazione di Emily W. Martin.
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