Alla scoperta di una scuola dell’infanzia giapponese

Alle porte di Tokyo c’è una scuola dell’infanzia davvero particolare, il Fuji Kindergarten. Visitarla durante il mio viaggio in oriente era una delle mie priorità. Così un mese prima della mia trasferta, scrissi una mail presentando chi fossi, chiarendo i miei obiettivi e chiedendo una visita. Lo scambio non fu proprio semplicissimo, ma dopo una decina di email, mi arrivò la conferma, avrei visitato la scuola! 

Dopo quasi due ore di viaggio dal mio hotel, vedo in lontananza una struttura circolare, i loro pulmini e sento le voci dei bambini che giocano in giardino. Sono arrivata! Tutto intorno è pace, ci sono palazzi e case tipicamente giapponesi. Cammino costeggiando la scuola e noto già un sacco di aspetti interessanti! 

Entro e mi fanno accomodare nella loro sala conferenze, ovviamente togliendomi le scarpe. Lí trovo un gruppo di architetti svizzeri, con cui scambio delle piccole osservazioni. Ci offrono il macha (il tea giapponese) e da lì a poco entra il direttore della scuola. Con l’aiuto di Keiko, la responsabile delle comunicazioni, ci racconta il pensiero educativo che ruota attorno a questo Kindergarten.

È una scuola dell’infanzia che accoglie bambini dai 3 ai 5 anni, dalle 8.45 alle 2.15pm. Prima e dopo ci sono dei club, ovvero una sorta di pre-post scuola. È un servizio bilingue giapponese-inglese e ogni classe ha un insegnante nelle due rispettive lingue. Alcuni genitori non sono interessati alla doppia lingua (In Giappone sono pochissimi quello che parlano inglese), ma la regola del doppio insegnante rimane per tutti. Seguono il Metodo Montessori per quanto riguarda la dotazione dei materiali e le linee guida che guidano la loro pratica. 

È stato progettato nel 2007 dagli architetti Takaharu e Yui Tezuka. Per questo imponente progetto, questa coppia di genitori si è ispirata ai loro due figli, trascorrendo le ore a giocare con loro e osservare le azioni e le attività che adoravano svolgere. Conoscendo ciò di cui avevano bisogno, hanno pianificato un’architettura che ruotasse attorno ai piccoli protagonisti. La forma dell’edificio è di forma ovale, così da creare un movimento continuo ispirato dalla circolarità che di solito i bambini compiono quando corrono. L’idea guida dell’intera scuola è stata: “Dobbiamo tornare a pensare come i bambini” e creare una struttura che si adegui alle loro necessità.

Il tetto è stato costruito il più basso possibile in modo tale che dal giardino, si possano vedere e salutare i bambini che si trovano nel piano più alto dell’edificio. Al momento della pianificazione, il direttore della scuola avrebbe voluto inserire, al posto della ringhiera, delle reti per attenuare eventuali cadute. L’architetto e anche il funzionario governativo hanno invece insistito per una ringhiera, molto più sicura. 

Sul tetto non ci sono giochi, solo gli alberi con le dovute reti e i lucernari, così che i bambini possano correre e soprattutto sviluppare da loro delle attività. Insomma movimento e tanta immaginazione sono le caratteristiche principali di questa scuola!

Non ci sono limiti fra il dentro e il fuori, e nemmeno condizioni climatiche che possono fermare l’educazione outdoor. Il contatto con la natura è uno dei loro punti forti. Oltre ad avere un orto in cui coltivano vari ortaggi e anche dei fiori, 3 alberi si trovano all’interno delle classi. Le radici partono dalle aule, e si sviluppano poi sul tetto con delle reti che creano una sorta di ringhiera.

I bambini, nemmeno a dirlo, adorano questi spazi e ne approfittano con piacere. A volte ci sono pure 40 bambini sull’albero! Infatti anche l’accoglienza avviene in giardino e durante la mattinata, non ho mai visto il lo spazio verde vuoto. 

È stato divertente poter scoprire una modalità differente di avvicinarsi agli alberi, di sperimentare giocando. Ho adorato questo tipo di approccio. 

Sul tetto si trovano anche dei lucernari che danno ampio sguardo a quello che accade nelle classi, così i bambini possono osservare, curiosare, salutare i loro compagni. Inoltre questi elementi permettono un accesso alla luce e al cielo imponente, con buona pace della luminosità delle classi. Questo tipo di osservazione stimola una conoscenza realistica di cosa accade oltre le mura scolastiche, ad esempio osservare la pioggia, le foglie che cadono, e incentiva anche la costruzione di rapporti relazionali preziosi. Chi si occupa di educazione conosce l’importanza dell’apprendimento attraverso l’imitazione, e quanto sia potente aver l’opportunità di conoscere e imparare solo dalla mera osservazione. Inoltre permette una diversa e buffa angolazione durante il periodo di inserimento, concede ai piccoli di avere varie tipologie di prospettive del nuovo luogo che stanno abitando. Insomma c’è sempre qualcuno che guarda dentro e qualcun altro che guarda fuori.

L’ultimo strumento che si trova sull’ultimo piano dell’edificio è uno scivolo che collega il tetto con il giardino così da rendere la transizione fra i due luoghi più divertente e gioiosa possibile. I bambini possono anche decidere di salire o scendere con le scale, ma durante la mattinata della mia visita, adulti e piccoli hanno fatto dello scivolo il loro mezzo preferito per attraversare la loro scuola.

All’interno del kindergarteen si trovano anche due pony, e una tartaruga, per alimentare una cultura verso il rispetto di tutti gli esseri viventi, animali compresi. Inoltre, si allena una pratica destinata alla cura con gesti gentili e accoglienti. Gli animali sono considerati dei veri e propri protagonisti dell’ambiente scolastico, come i bambini. 

Cura che si concretizza anche nei confronti dell’ambiente circostante e dei materiali utilizzati. Ognuno deve occuparsi di riordinare, pulire quando si sporca, sempre nell’ottica che il bene del singolo si rispecchia anche nella società. Mi prendo cura della mia classe perché la condivido con i miei compagni. Insomma, le mere basi per una degna civiltà. 

Anche al Fuji Kindergarten seguono l’antica tradizione di togliersi le scarpe prima di entrare nelle case, o in classe in questo caso. Questo perché in Giappone si opera una forte distinzione tra gli ambienti puliti e gli ambienti sporchi che non devono mai venire a contatto tra loro per non contaminare l’ambiente casalingo. Il suolo all’esterno della casa è considerato impuro così come lo sono le suole delle scarpe venute a contatto con esso. Quello che sta all’esterno è considerato non igienico e va pertanto lasciato fuori. Quando si entra in casa infatti le scarpe si tolgono in un apposito spazio detto genkan 玄関, generalmente più basso rispetto al piano del pavimento della casa. È una tradizione ormai imprescindibile anche in età moderna e non seguire queste regole è ritenuto scortese e irrispettoso.

Dal punto di vista motorio, questo ha dei benefici verso lo sviluppo delle abilità motorie e la muscolatura dei piedi. Si indossano le scarpe solo per andare in giardino. Per andare in bagno invece, ci sono delle piccole pantofole che si trovano dalla più grande alla piccola. Dopo l’uso, i bambini devono rimettere tutto in ordine e per questo compito vengono aiutati da alcuni template (ovvero modelli predefiniti) sul pavimento. Questo incoraggia i piccolini a sviluppare un senso verso la bellezza dell’ordine. Ripetendo l’esperienza più volte al giorni, acquisiscono delle competenze e anche un aumento della loro autostima. Portando a termine un compito, costruiscono anche una buona dose di sicurezza e indipendenza. Elemento essenziale per lo sviluppo della personalità. Inoltre è un ottimo esercizio per la mostricità fine e per allenare l’autonomia. I bambini imparano a mettersi le scarpe da soli fin da piccoli e nel caso dello hoikuen (ovvero il riposino)  si mettono anche il pigiama in modo indipendente.

Interessanti, sono anche le installazioni sul tetto che permettono alla pioggia di cadere più velocemente da un lato. Questo perché si incoraggia i bambini ad avvicinarsi a tutto ciò che fa parte della natura in modo spontaneo. In questo modo possono vedere, sentire e percepire la potenza e la consistenza della pioggia. Con questo movimento, si connettono alla natura ma allo stesso modo, imparano a controllare i propri muscoli e non bagnarsi i vestiti. 

Qui si crede che ogni luogo sia un posto legittimo per supportare la crescita dei piccoli cittadini. Quando i bambini corrono, è facile che possano incontrare degli ostacoli e anche cadere. Quando si cade per varie volte, si impara a fare più attenzione, è un modo per diventare indipendenti e costruire il proprio modo d’essere. Il gioco e il rischio si mescolano alla dimensione dell’avventura, e in questo spazio in cui tutto è calcolato e costruito con attenzione, scivolare e incontrare delle difficoltà è una modalità di apprendere le varie tipologie di pericolo. In modo tale da attuare delle strategie di apprendimento che consentano ai piccoli di imparare dalle scivolate ed errori. Si concedono spazi, e tempi adeguati che permettono ai bambini una libertà di movimento propedeutica al sano desiderio di esplorare. Per questo si segue il principio che qualsiasi oggetto, luogo e persona sia uno strumento per crescere. Può essere l’architettura, l’acqua, gli insegnanti, gli alberi, i pony, le situazioni, tutto è prezioso e utile per educare. 

Questo segue il pensiero pedagogico, secondo il quale, non dobbiamo sostenere la filosofia del “how to” ovvero spiegare ai bambini come si compie una determinata azione, ma accogliere ed essere aperti al “To do”, ovvero ad accompagnare i bambini a sperimentare. Per vivere le loro scoperte, diventare degli adulti responsabili e indipendenti che faranno parte della società in modo onesto. 

Il Giappone è anche fortemente sensibile alla sicurezza, un pizzico in più rispetto ai paesi occidentali. È una nazione che riceve il 10% dei grandi terremoti del mondo, per cui i bambini sono abituati a frequenti esercitazioni e forti scosse. Durante un terremoto, grandi e piccoli conoscono le procedure da svolgere. Si posizionano sotto il tavolo ed indossano dei particolari cappelli imbottiti di cotone, per proteggere il proprio capo in caso di caduta di vari detriti. Queste azioni non mirano solo alla sicurezza del luogo educativo, ma fanno parte anche di quelle gesta culturali con cui ogni cittadino giapponese impara a convivere. Il direttore mi raccontava che fanno parecchie esercitazioni nel caso di terremoto o incendio, e per questo spesso i bambini giocano “a fare finta” che ci sia un’emergenza e corrono ai ripari. 

Per quanto riguarda l’indipendenza, anche qui ho ritrovato con piacere degli strumenti importanti. Come i numerosi rubinetti con tubi flessibili. Nelle scuole Montessori sono ordinari e inseriti nella quotidianità della vita della classe. Si incoraggia l’autonomia in varie forme, per lavarsi le mani, sciacquare il pennello usato per dipingere, lavare il piatto dopo il pranzo. Insomma gli usi sono infiniti, ma in questo caso la motivazione che ha spinto gli architetti per questo tipo di elemento è stata un’altra.

Considerando la sovraesposizione dei dispositivi tecnologici dei bambini in questa era, l’architetto ha visto nei rubinetti una valida opportunità di socializzare seguendo un detto giapponese “Ido bata kaigi”, che significa “conferenza attorno al pozzo”. Nell’antichità, le donne erano abituate ad incontrarsi e scambiarsi pensieri e informazioni quando andavano a prendere l’acqua. Il principio qui è il medesimo. Si incoraggia alla condivisione, e a creare una rete relazionale, ovvero a far parte di una comunità. 

Nel 2011, è stata costruita una seconda struttura di fianco alla scuola con altre due aule e alcune aree di gioco. È stato chiamato “Ring around tree”, ovvero “L’anello attorno all’albero” e mai nome più appropriato perché qui tutto l’edificio ruota attorno all’importanza di un grande albero. Per questo, la struttura è stata progettata leggera, 7 piani per 5 metri di altezza.

Il tutto per consentire l’accesso all’albero principale e permettere ai bambini di arrampicarsi sopra, per raggiungere il livello superiore senza usare le scale. C’è una piccola dose di pericolo ma i bambini si aiutano a vicenda, gli educatori hanno notato una forte collaborazione e attenzione da parte di tutti, esattamente come la società che troveranno al di fuori dalla scuola. I bambini si aiutano fra di loro, super volentieri. Altre scuole potrebbero non consentirlo, ma il direttore ritiene che i bambini conoscano i propri limiti e riescano a fermarsi nel momento opportuno. Inoltre si allena il problem solving.

Le aule non dispongono di tantissimi materiali, ogni bambino è responsabile delle proprie cose come cappellino (ogni classe ne ha uno di un colore differente), zaino e oggetti personali come bicchieri e scarpe. Ci sono dei piccoli tavoli che sono disposti a piccoli gruppi, ed ovviamente un lavandino da utilizzare soprattutto per il post pranzo. Tutti i bambini, seguendo la filosofia montessoriana, sono in grado di pulire, lavare e risciacquare le proprie stoviglie. Inoltre, tutte le porte sono delle lunghe vetrate così da poter osservare l’attività che si sta svolgendo in una specifica classe e comprendere ciò che sta accadendo fuori dall’aula, dando una luminosità preziosa ad ogni singola stanza.

Anche le aule insegnanti, in cui si organizzano le riunioni, corsi, mini conferenze o semplicemente dei momenti di puro relax riflettono la tradizione culturale giapponese!

Per quanto riguarda la presenza di bambini disabili, non si pongono limiti. È aperta a tutti coloro che decidono di iscriversi. Di solito, si fa un colloquio con la famiglia e si discute dei vari aspetti da valutare insieme al team degli educatori. 

In totale i bambini iscritti sono 360, e gli insegnanti fra cui metà giapponesi e metà occidentali (per portare avanti il discorso bilinguismo) sono 70, di cui 20 uomini. Una percentuale non bassissima per l’età di riferimento.  

Non è una scuola privata con costi impossibili, ha un prezzario in linea con il quartiere e le altre scuole che ci sono attorno. In questo caso vi parlo della periferia di Tokyo (e no, non è una metropoli per nulla cara, io l’ho trovata molto economica su vari aspetti).

È stata una visita potente a livello emotivo, innanzitutto perché sono convinta nella condivisione dei valori e partecipare, anche se di poco, alla vita di una scuola al di fuori della nostro comfort zone, sia sempre arricchente.

È stato anche piacevole incontrare altri gruppi di persone, precisamente un gruppo di insegnanti cinesi che erano curiosi quanto me di scoprire un po’ più di cosa avvenisse in questa scuola. 

Come ad esempio scoprire che in Giappone, l’anno scolastico inizia ad aprile, e la scuola dell’infanzia si chiama Yōchien (幼稚園) e varia dai 3 ai 6 anni.

Ormai si sta sviluppando un’ampia letteratura su come progettare gli ambienti con un principio solido per il processo di sviluppo. Questa scuola dell’infanzia è la dimostrazione che il nesso architettura-educazione è in grado di cambiare la vita delle persone, soprattutto in luoghi adibiti all’apprendimento. Per questo è necessario fare un cambio di prospettiva. Non possiamo modificare le mura delle nostri attuali classi è vero, ma possiamo adoperarci per una pianificazione degli ambienti con uno sguardo critico. 

Inoltre, ho trovato emozionante il racconto del direttore della scuola. La parola che ha ripetuto più in assoluto durante il nostro incontro è stata “società”.

Ed è proprio qui il pezzettino che manca all’educazione italiana: lavorare per trasmettere dei valori per formare degli adulti indipendenti. Si respira un’educazione civile potente in ogni angolo di questa scuola. Ogni principio che guida l’azione di questi educatori non è dettato da una pratica che porta i bambini a raggiungere determinati obiettivi, o almeno solo in parte, ma il tutto è pensato, progettato, pianificato affinché possano sperimentare una società simile a quella che troveranno fuori dalle mura della scuola. 

Avviene tutto nell’ottica di creare una comunità in cui collaborazione, rispetto delle tempistiche, e ostacoli da affrontare siano i capisaldi. In tempi, in cui si discute se costruire muri e si punta il dita al più debole, io lo trovo davvero emozionante. 

Trovate un approfondimento di queste tematiche nel mio testo “Dalla parte dell’educazione”

Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere aggiornato sui prossimi in uscita ma anche per conoscere e raccontare storie e progetti su tematiche pedagogiche e sociali, puoi mettere un like sulla mia pagina facebook.com/diariodiuneducatrice

[instagram-feed]

Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *