In educazione, non ci sono delle pozioni magiche ma solo una tonnellata di ricerca, curiosità e competenze come abilità capaci di interagire e creare una professionalità educante degna del suo ruolo. Questo decalogo non delinea delle regole, ma solo dei buoni punti di partenza da dove far partire il nostro processo verso un’educazione più responsabile del compito a cui è chiamata a rispondere.
1. Partiamo dai punti di forza.
C’è un’estrema tendenza, dopo qualsiasi chiusura dei servizi educativi e scolastici, a sottolineare sempre le debolezze, le mancanze, i compiti svolti senza attenzione, il percorso all’autonomia rallentato per quanto riguarda i più piccoli. Dovremo conoscere l’importanza del contesto scolastico come possibilità per il futuro, e valorizzare l’enorme bagaglio di possibilità che frequentare asili e scuole, concede. Per questo, ma anche come compito intrinseco al nostro ruolo, dobbiamo oggi più di ieri, focalizzarsi sui punti di forza delle bambine e dei bambini (e di tutti gli adolescenti). Ovviamente ci saranno delle lacune, dei vuoti ma tutto il mondo dell’educazione è facilitatore di apprendimenti, sostiene, supporta, valorizza attraverso strategie didattiche che stimolino il processo verso la conoscenza. Partiamo dalle risorse che piccoli e ragazzi possiedono, facciamoci raccontare come stanno, e diventiamo i loro primi sostenitori.
2. Linguaggio accogliente
Il nostro lessico diventa una bussola per il nostro paradigma educativo. Eliminiamo il linguaggio dispregiativo che ammonisce e giudica e scegliamo con attenzione le parole con cui esprimiamo le nostre riflessioni, inseriamo sensibilità e ascolto, nell’assetto che vede anche nel silenzio una possibilità preziosa per fare educazione. Le parole comunicano i nostri pensieri, possono far star bene e rassicurare, coccolare e abbracciare. Accogliamo tutto l’apparato delle emozioni che bambine e bambini vorranno esprimere, e rispondiamo con tutta la professionalità di cui siamo in grado, facendo attenzione agli stereotipi giudicanti e agli automatismi privi di riflessività.
3. Concediamoci la possibilità di sbagliare
Siamo educatrici e insegnanti, e non abbiamo il dono dell’invicibilita anche se viene spesso richiesto. Ogni anno scolastico porta con sé delle sfide, ma quello firmato 2020-2021 assume caratteristiche estreme e peculiari, con un vissuto emotivo importante rispetto alla valutazione di ogni singolo elemento. Ricordiamoci che non siamo dei supereroi, abbassiamo i livelli di ansia, e chiediamo sostegno al nostro team. Leggiamo i decreti, linee ministeriali e lavoriamo in gruppo per tenerci per mano e costruire davvero un luogo educativo che dimentichi il suo scopo.
4. Siamo portatori di fiducia
Il nostro paese si caratterizza per avanzare sempre una narrazione tossica, raccontando come verità assolute lo scenario peggiore. Questo clima si inserisce in un sistema traballante, fatto da una burocrazia enorme, e una mente adulta tradizionale che spesso si blocca nella staticità degli eventi. Diventiamo portatori di fiducia nelle bambine e bambini che incontreremo, nelle nostre capacità, nella speranza che troveremo un modo per incastrare tutti gli elementi necessari per far rendere possibile una filosofia dell’educazione, quanto meno positiva verso un futuro incerto e traballante.
5. I corpi non sono malati
Il corpo è una dimensione protagonista in qualsiasi dispositivo pedagogico, anche se spesso ci dimentichiamo del suo potere di apprendimento. Questi mesi hanno messo a dura prova i nostri corpi, privandoci del contatto, aumentando il controllo ossessivo verso il corpo proprio e altrui, per osservare eventuali sintomi e segni di benessere. In educazione, non possiamo permetterci di entrare nell’assetto dei corpi malati, perderemmo una parte sostanziale dei nostri compiti. Non ho soluzioni magiche da porre come rimedio, ma è la sfida più grande di questo anno scolastico, vi rimando ad un articolo di internazionale che mi ha riscaldato il cuore su questo argomento.
6. Costruiamo partecipazione
In questo senso, dobbiamo far riferimento alle linee guida che parlano di corresponsabilita educativa, non solo in termini di misurazione della temperatura ma come partecipazione allargata, condivisa tra tutti i partecipanti. In tempi dove i genitori devono rimanere fuori dalle strutture diventa un processo più complicato del solito, ma dobbiamo far leva sulla nostra professionalità e raccontare alle famiglie l’importanza di lavorare insieme per il benessere complessivo. Significa anche fare i conti con i propri pregiudizi, e stereotipi come “I genitori daranno la tachipirina e manderanno i figli a scuola”. Proviamo a vedere oltre, a raccontare quanto sia essenziale un lavoro sul bene comune, ovviamente questo comporta impegno, fatica, sacrificio e una tonnellata di pazienza.
7. Pensiero divergente
Il virus ci ha costretto a rivedere le nostre priorità, a valutare i nostri materiali e la didattica utilizzata in quel momento sotto una nuova luce. In educazione, la creatività è un elemento spesso connesso al solo uso di pastelli, tempere e carta velina ma la situazione esige l’utilizzo di pensare in modo differente, e vuol dire tirar fuori dal nostro zaino, il pensiero divergente. Significa avere la capacità di pensare a soluzioni alternative, accantonare gli automatismi come pratiche standard sempre uguali incapaci di rinnovarsi. Vuol dire riuscire a vedere una luce di possibilità, e occasioni di apprendimento in tempi di distanza, e una marea di ostacoli.
8. Non dimentichiamoci la teoria
Con una storia pedagogica come quella italiana, non possiamo cancellare anni di riflessione di elevata qualità, nemmeno per far fronte ad un’emergenza. Cerchiamo di mantenere l’attenzione sull’essenziale senza calpestare tutta la conoscenza teorica che abbiamo sviluppato nel corso degli ultimi due secoli. Dovremo fare delle scelte, che ci costringeranno a sacrificare una forma di consapevolezza raggiunta, ma non significa eliminare tutto ciò su cui ci siamo formate. È un periodo di transizione, in cui dobbiamo ripensare in forma più ampia e anche sanitaria, senza trasformare i nostri servizi in piccoli ospedali in miniatura con qualche gioco.
9. La relazione è sempre al centro
Qualsiasi progettazione, pianificazione sugli spazi, ambienti, dispositivi si basa sulla relazione che costruiamo con le persone di cui ci prendiamo cura. Sulla nostra modalità relazione, su tipo di presenza che decidiamo di assumere nel servizio, quella che ci consente di operare su qualsiasi livello possibile. Non permettiamo alla distanza di costruire muri e confini relazionali, abbiamo bisogno di un’apertura mentale capace di tessere reti condivise tra diversi attori.
10. Torniamo all’educativo
Non permettiamo alle misure sanitarie di invadere ogni nostra decisione, assumiamo la responsabilità della professione che ci siamo scelte e diventiamo capaci di ritrovare nuove armonie. Alleniamoci a leggere i bisogni delle bambine e dei bambini, ripensando la nostra modalità di operare sotto un nuovo ventaglio di possibilità.
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere aggiornato sui prossimi in uscita ma anche per conoscere e raccontare storie e progetti su tematiche pedagogiche e sociali, puoi mettere un like sulla mia pagina facebook.com/diariodiuneducatrice
[instagram-feed]