Siamo costrette di nuovo ad affrontare la chiusura forzata dei servizi educativi e scolastici. Ad un anno di distanza, siamo di nuovo al punto di partenza con uno zaino pieno di nuovi strumenti ma anche una dose massiccia di fatica e stanchezza.
Questo nuovo virus ci ha costrette a ripensare pratiche e processi ormai consolidati mettendo al primo posto la sicurezza sanitaria. Nonostante protocolli e olio di gomito a lavare e disinfettare, tutto questo non è bastato per continuare ad ampliare le nostre finestre di apprendimento. Le professioniste dell’educazione sanno che con la fascia 06 apprendimento significa esplorazione pura, mani in pasta, contatto, corpo, materiali destrutturati e angoli, occhi che si incrociano e ridono, tentativi e ricerche, scoperte che si toccano, annusano, guardano.
Su questo fronte anche il Ministero dell’Istruzione conosce la peculiarità della prima infanzia e ha attuato delle modifiche sul lessico utilizzato. Ha trasformato la dicitura della DAD (didattica a distanza) nei confronti della fascia 0-6 anni in preferenza di LEAD ovvero “legami educativi a distanza” proprio focalizzandosi sulla sensibilità peculiare e caratteristiche specifiche di questa età. È quindi esigenza primaria, in tale contesto, ristabilire e mantenere un legame educativo tra tutti i protagonisti coinvolti. I LEAD non riguardano, come si può essere facilmente pensare, solo il rapporto tra personale operativo e bambini, ma anche tra le figure adulte, con la necessità di rinsaldare le relazioni esistenti e mantenere acceso il clima di fiducia fino ad ora costruito.
Siamo tutte più abili ad utilizzare le piattaforme digitali, ma correre di nuovo al caricamento massiccio di materiali e video è l’azione giusta da fare?. Molte equipe si sono radunate attorno alla domanda “Come e cosa si può fare in questa nuova chiusura?”.
In questo lockdown i genitori non sono più a casa con i bambini, nei casi fortunati sono attrezzati con lo smart working che si può rivelare arduo e a tratti impossibile, altri sono affidati ai nonni o tate.
La varietà delle situazioni singole ci obbliga ad una riflessione attenta su come procedere per non abbandonare i rapporti creati con piccoli e adulti. L’invio a pioggia di materiali potrebbe avere una doppia valenza. Se da un lato potrebbero aiutare i genitori smarriti, dall’altro aumenterebbero il senso di inadeguatezza e ansia che preme sulla performance di tutti. Siamo certi che la concentrazione sul fare sia utile?.
Eppure l’educazione è ben lontana da essere puro intrattenimento.
È un processo che va a fondo ai non detti, ai gesti, agli incoraggiamenti con una presenza discreta fatto di silenzi, parole calibrate, errori ed esperimenti, scoperte e domande che si rinnovano.
Le dirette possono essere una modalità interessante per i bambini più grandi ma anche qui ci sono varie prospettive. Quale modalità scegliere? Tutti i giorni si chiede la presenza obbligatoria di un genitore? È eticamente corretto chiedere a dei bambini al di sotto dei 6 anni di trascorrere del tempo di fronte ad uno schermo quando studi e ricerche sottolineano l’esigenza opposta? Ha una valenza simile anche l’invio di letture e piccoli video.
Inoltre è essenziale fare riferimento al nostro compito professionale che deriva da educere “tirar fuori” e non mettere dentro a tutti i costi come spesso vengono intesi i processi educativi. Il celebre testo di Morin riprendere da una frase di Montaigne: “E’ meglio una testa ben fatta piuttosto che una testa ben piena”. Il nostro ruolo non ha l’obiettivo di infilare e accumulare i saperi, ma nell’attivare un pensiero critico capace di attivare risorse, domande, collegamenti e organizzazione di conoscenze e possibili soluzioni.
L’OMS raccomanda a chiare lettere che i bambini dai 3 ai 5 anni possono trascorrere un tempo MASSIMO di 2 ore davanti ad uno schermo. Sappiamo che un po’ per sopravvivenza e per pratiche abitudinarie, questi tempi si allungano già in una quotidianità in un periodo di chiusura forzata delle scuole. Consapevoli del nostro ruolo fatto anche di responsabilità pedagogica, come ci comportiamo di fronte a questo scenario?
Non ci sono ricette prestabilite valide per tutti.
I territori sono differenti come i bisogni delle famiglie, e le filosofie di pensiero che si seguono durante il corso dell’anno come servizio educativo. Inoltre spesso è necessario trovare un compromesso tra chi segue un pensiero pedagogico più riflessivo e i datori di lavoro che vorrebbero spingere più su contenuti facilmente vendibili in termini di produttività e quantità. Un modo per voler sottolineare l’essenzialità del servizio ma spesso priva di una riflessione profonda dei bisogni reali delle famiglie e dei bambini. Diventa così una lotta estenuante tra ciò che all’apparenza sia giusto fare e ciò che viene richiesto da più parti. Le discussioni possono anche dilungarsi e spesso le risorse per porre le evidenze pedagogiche che tante professioniste seguono e ritengono essenziali possono frantumarsi.
La stanchezza sta assumendo un carattere primario da ogni angolazione. Occorre trovare l’appropriata misura tra tutte le parti provando a dare il proprio contributo esplicitando il significato che vogliamo trasmettere. Verbalizzando i nostri obiettivi e condividendo perplessità, proposte e fatiche con il nostro team. Tutto questo con una nota particolare. Dobbiamo ricordarci che comunichiamo sempre. Quando decidiamo di invadere i bambini di schede e lavoretti, concentrando tutto il nostro lavoro su attività e materiali da comporre. Comunichiamo quando riempiamo le agende, quando proviamo a contattare chi non risponde alle nostre proposte. Stiamo trasmettendo un messaggio quando proviamo ad oltrepassare la soglia del fare ed entriamo in quella relazionale, della gioia del fare l’assemblea mattutina, del condividere lo snack insieme, dei saluti collettivi e degli abbracci di gruppo virtuali. Trovando la direzione tra presenza soffocante e continuità essenziale.
Inoltre la nota riguardo la presenza dei BES sottolinea ancora quanta strada sia necessario fare in termini non solo di inclusione, ma anche di comprensione di cosa sia davvero il percorso dei bambini con bisogni educativi speciali.
In questo caso l’etimologia che ci ha indicato il Ministero ci aiuta. “LEGAMI”: concentriamoci su questa meravigliosa parola e il suo significato. Cosa vogliamo comunicare? Come riusciamo a costruire un ponte tra noi e le famiglie in modo da prenderci per mano e camminare ancora insieme?.
Illustrazione di Marco Soma
Sono queste le domande che dobbiamo porci. Come pedagogista credo fortemente che ciò che può fare la differenza è mettersi in ascolto e trovare la chiave per fare il nostro lavoro secondo un punto di vista differente. In tale contesto storico, sia al nido sia alla scuola dell’infanzia il valore del nostro lavoro può essere svolto attivandoci in termini di sostegno alla genitorialità tramite diverse modalità. Caricare su google drive o le piattaforme utilizzate una cartella per questo scopo con articoli, consigli, indicazioni che aiutino ad alleviare il carico di lavoro da sostenere. Ad esempio come rilanciare l’apprendimento pratico e curioso, sostenere le autonomie raggiunte, quali pratiche intraprendere e raccontare le potenzialità dell’ambiente casalingo. Attivare sportelli di aiuto così da avere un professionista adeguato per condividere fatiche e difficoltà del periodo. Preparare questionari per capire il bisogno delle famiglie che vada oltre il “parcheggio” standard.
La situazione diventa ancora più critica e fragile quando le condizioni contrattuali sono precarie e ridicole. Tante educatrici sono in cassa integrazione con un carico di lavoro quasi raddoppiato, altre invece completamente dimenticate. La rabbia è tra le emozioni più percepite e nominate ma è necessario incanalare stanchezza e complessità in risorse e strategie che hanno il compito di alimentare il nostro benessere.
In una delle mie storie preferite “Tempestina” una parte recita così:
“Quando c’è una tempesta è meglio essere in due. E poi bisogna essere ben coperti, per andarle incontro”.
Ed è proprio quello che intendiamo fare come equipe educativa.
Trovate un approfondimento di queste tematiche nel mio testo “Dalla parte dell’educazione”
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