L’educazione appare spesso qualcosa che si ripete seguendo schemi sempre uguali, come se ci fosse una ricetta con ingredienti precisi da saper dosare. Accade così che tante professioniste utilizzino ancora strumenti vecchio stampo con la convinzione che ci sia un’unica modalità per dare forma a certe competenze. Un metodo tradizionale tramandato ancora con vigore che vede nella compilazione delle classiche schede didattiche la direzione privilegiata per allenare al pregrafismo e preparare così alle richieste della scuola primaria.
Un pensiero che si basa sulla tendenza perenne ad anticipare capacità precise nel scrivere e far di conto seguendo il principio che i bambini siano soggetti da riempire di nozioni. In tale assetto diventa spontaneo scolarizzare l’infanzia non considerandola come età peculiare con il suo sviluppo e caratteristiche.
I bambini della fascia 0-6 anni imparano attraverso l’esperienza utilizzando i mezzi che hanno a disposizione: i sensi. Così toccare, manipolare, annusare, cadere, correre, diventano i canali preferenziali per conoscere il mondo. Questo avviene perché il loro cervello, ed in particolare la corteccia frontale e prefrontale, la sede del pensiero astratto in cui risiedono le capacità di astrazione, categorizzazione complessa, di comprendere le conseguenze delle proprie azioni, iniziano a svilupparsi verso i 5 anni. Affinché però questo avvenga è essenziale che siano ben maturate le cortecce precedenti, quelle destinate alle capacità motorie e sensoriali. Per questo la mente del bambini è concreta, perché ha bisogno di compiere esperienze concrete.
Non possiamo chiedere ad un bambino un compito di astrazione quando le sue aree del cervello non sono ancora mature a sufficienza. Le richieste delle schede non seguono lo sviluppo cerebrale dei bambini. Da qui nasce l’importanza della formazione costante che abbraccia la conoscenza con l’approfondimento di ciò che le neuroscienze dicono ai professionisti dell’educazione. Su queste convinzioni Maria Montessori ha fondato uno dei pensieri pedagogici più famosi al mondo che basa lo sviluppo dell’individuo sulla connesione tra sensi e conoscenza, sottolineando il forte legame tra i movimenti del corpo ed in modo particolare della mano ed il pensiero.
Inoltre chi lavora con l’infanzia deve basare la propria pratica sulle Indicazioni nazionali che descrivono non solo i campi di esperienza su cui focalizzare la nostra filosofia educativa, dando spazio ad ampie possibilità e opportunità ma descrive le capacità che ogni bambino deve aver raggiunto in termini di prerequisiti alla primaria. Linee guida che esplicitano l’esigenza di sostenere il passaggio dall’io al sé, quindi lo sviluppo dell’autostima, dell’autoefficacia, della sicurezza nelle proprie forze, allenare la curiosità la capacità di elaborare un’idea e un pensiero, di poter imparare. Non serve imparare a scrivere, ma serve comprendere che durante la fascia 0-6 anni, ed in particolare 3-6 anni si formano i mattoncini in riferimento a tutto ciò che avverrà dopo, non solo in termini di apprendimenti cognitivi ma anche nella costruzione del proprio sé. Le Indicazioni Nazionali sottolineano il diritto di educazione e alla cura. I servizi educativi si pongono la finalità di promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità, dell’autonomia, l’acquisizione della competenze e li avvia alla cittadinanza. Tutto questo si traduce con un focus specifico sulle dimensioni del proprio io, sullo stare bene, sentirsi sicuri in un ambiente sociale allargato.
Sviluppare autonomia significa avere fiducia in sé e fidarsi degli altri, provare soddisfazione nel fare da sé e saper chiedere aiuto, esprimere insoddisfazione e frustrazione. Acquisire competenze significa muoversi, giocare, curiosare, domandare, imparare a riflettere sull’esperienza attraverso l’esplorazione, l’osservazione e il confronto.
Per ciò che riguarda i prerequisiti inerenti alla scrittura è necessario focalizzare risorse e attenzione sulla coordinazione, lateralizzazione, coordinazione oculo-manuale, organizzazione spaziale, motricità fine, controllo posturale, equilibrio. Tutti campi che hanno bisogno del fare concreto per il loro pieno sviluppo.
Diventa essenziale essere delle figure di supporto attente e riconoscere che tutte queste competenze si sviluppano in modo quotidiano nel gioco libero dei bambini. Dobbiamo essere abili nel riconoscere determinate aree di sviluppo, predisporre un ambiente stimolante in cui lo stupore sia presente, con materiali ricchi di opportunità e strade da esplorare.
Ad esempio, arrampicarsi sugli alberi stimola la lateralità, lo sviluppo della coordinazione occhio-mano, dell’attenzione e concentrazione, dell’equilibrio di dover calibrare forze-peso ed energie, della sensorialità di toccare superfici differenti, e non per ultimo incoraggia la fiducia in se stessi e il senso di autoefficacia ovvero la capacità di portare a termine un compito in autonomia. Elemento essenziale lungo il percorso verso gli apprendimenti.
Altri esempi possono essere: mettere in fila, elaborare sequenze, assemblare, raggruppare e differenziare per categoria, intrecciare nastri, creare ordini di grandezza. Tutte pratiche che incoraggiano il pensiero logico matematico. Nel maneggiare piccoli materiali da afferrare, annodare, intrecciare si esercita la presa tripode dinamica che servirà per avere un impugnatura adeguata per scrivere.
È di estrema importanza lavorare sulla muscolatura della mano, così da allenare il controllo dei gesti più fini e facilitare così la corretta impugnatura e processo di scrittura. Maria Montessori considerava la mano come lo strumento più importante per lo sviluppo del pensiero cognitivo, ed il suo allenamento attraverso esperienze peculiari e speficiche una parte fondamentale del lavoro dei bambini per incrementare l’autonomia e così anche l’impalcatura per i pensieri astratti.
La riproduzione dal vero allena l’osservazione ai particolari, l’attenzione, la riproduzione grafica. Fare esperienze con diverse grammature e texture permette di lasciare tracce sui vari materiali e scoprire così anche come la pressione del tratto in base alla sua forza consente diversi segni grafici. Il gesto grafico e la manualità non provengono dal riempire di colore una scheda.
L’infanzia è un’età sensibile con particolari aree di sviluppo dal punto di vista della crescita fisica, emotiva, relazionale, cognitiva. Non osservare la peculiarità di questo periodo, anticipando e forzando apprendimenti significa avere un’idea di bambino come contenitore di nozioni sterili. Perché chiediamo a loro di scrivere prima? di leggere numeri e lettere prima? Perché ci sono numerose famiglie che richiedono l’anticipo scolastico? perché sentiamo il bisogno di scolarizzare l’infanzia? Comprendo che le schede possano in qualche modo mostrare il lavoro che si svolge e così anche giustificarlo agli occhi dei genitori che non considerano il gioco libero come fruitore dei apprendimenti.
L’intera categoria subisce delle pressioni così da proporre attività visibili ed elencabili a dispetto delle vere esigenze dei bambini stessi come rallentare i ritmi delle richieste ma non è questo il lavoro educativo. L’educazione non è intrattenimento e offrire delle schede come strumento educativo è sminuente e limitante non solo di tutta l’infanzia ma anche del nostro come professioniste della cura. Non è la logica dei lavoretti, del bambino che assemblea un prodotto da mostrare la direzione della cura autentica. è intrinseco nel nostro ruolo raccontare e documentare tutto ciò che di prezioso avviene nei processi di sviluppo spontanei. Le famiglie vanno accompagnate a comprendere che ogni momento della giornata porta con sé degli apprendimenti che vanno oltre le attività strutturate ma che sono imprescindibili dallo sviluppo di una persona: le routine, lo scambio continuo con persone differenti da loro stessi, il compromesso, le fatiche e gioie di una comunità che percorre insieme un pezzo di strada.
Offriamo ai bambini atelier, centri di interesse con materiali destrutturati e differenti. Diventiamo capaci di osservare i loro interessi, crediamo nella loro unicità a scoprire, sbagliare, tentare ed esplorare con le proprie modalità e tempistiche. Incoraggiamo le domande rispetto alle risposte, allestiamo angoli che scaturiscono dall’interesse di ricerca dei bambini, così da essere protagonisti attivi nella costruzione della conoscenza che porta a un susseguirsi significativo di apprendimenti.
Non siamo noi le protagoniste con le attività rigidamente strutturate ad imporre apprendimenti e insegnamenti preconfezionati, con i setting instragrammabili e i bisogni dei bambini dimenticati. Le aspettative devono essere flessibili e dinamiche.
Perché il focus non è sulla risposta ma la ricerca a trovare interessi, curiosità, quali strumenti i bambini sviluppano per capire e portare avanti i loro pensieri e cosa fare per trovare le soluzioni. In tale contesto accendiamo la miccia della motivazione, del piacere ad apprendere, della curiosità a capire cosa c’è dentro una noce o un frutto di un albero, così come l’autostima e il senso di autoefficacia.
Riflettiamo su quale idea di bambino basiamo la nostra pratica. I bambini del 2021 sono controllati, valutati, incasellati, vorremmo bambini perfetti che possano testimoniare la nostra perfezione. Si deve ribaltare tale prospettiva e riuscire a mettersi davvero in ascolto dei loro pensieri, emozioni, strategie, dei molti linguaggi usati. Un ascolto capace di osservare per comprendere. Non trasformiamo l’infanzia in un continuo anticipo di obiettivi e prestazioni ma preoccupiamoci di riportare la primaria a diventare il parlamento della cittadinanza, meno nozionistica e più serena e inclusiva.
Uno dei titoli più famosi del filosofo Morin “La testa ben fatta” deriva da una frase di Montaigne: “È meglio una testa ben fatta piuttosto che una testa ben piena”. Educare non significa accumulare saperi ma elaborare un’attitudine e pensare e riflettere, per smontare problemi e saper creare nuove prospettive. Il senso risiede tutto qui.
Trovate un approfondimento di queste tematiche nel mio testo “Dalla parte dell’educazione”
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