Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”
L’asilo nido comunale sorge negli anni 70 come servizio assistenziale ma con il trascorrere degli anni e nuove leggi, la sua natura si è modificata diventando un luogo in cui la pedagogia della relazione fonda il suo agire. Nel 2021 ci portiamo ancora lo stereotipo del nido come un servizio di sole cure fisiche, in cui il tempo trascorre con qualche attività che appare divertente.
Da qui i dubbi: l’asilo nido è una necessità per gli adulti o risponde ai bisogni dei bambini?
In questa riflessione dobbiamo sottolineare l’importanza del tipo di attaccamento che i bambini sviluppano con la loro figura di riferimento. Lungo tutto l’arco della vita lo stile di attaccamento incide su tutto il percorso della vita, non solo per ciò che riguarda l’infanzia ma anche le capacità in cui una persona sarà in grado di stabilire relazioni nella sua storia.
Come afferma Bowlby: “L’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba”.
Nel momento in cui ci relazioniamo ai nostri caregiver e abbiamo un certo di qualità piuttosto che un’altra, questo impianto relazionale incide sullo stile del collegamento neurale del nostro cervello, ma anche sullo stile relazionale affettivo che noi andiamo a costruire nel nostro modo di relazionarci agli altri. Per questo è necessario che il bambino instauri un attaccamento di tipo sicuro con la sua figura di riferimento, così da costruire un fattore protettivo verso il suo benessere globale. Da questa teoria partono gli studiosi che considerano il nido come luogo di pura custodia, dimenticandosi che oggi si parla anche di attaccamenti multipli. Viviamo in una società complessa e fluida in cui i fattori in gioco sono tantissimi ed influenzano inevitabilmente il nostro modo di fare educazione.
Lo stesso Bowlby, nei suoi ultimi anni di studio, dichiarò che la presenza di altri attaccamenti può costituire per il bambino un’assicurazione sulla vita, perché svolgono una funzione integrativa senza perdere di vista l’essenzialità dei legami primari. I bambini del 2021 partecipano a diversi sottosistemi sociali (pensiamo ai nonni, tate, zii) che consentono di moltiplicare le figure di attaccamento secondarie, se queste figure sono significative e stabili.
La capacità di una buona educatrice risiede anche nel percepire, rispondere con sensibilità e competenza ai messaggi e bisogni dei bambini ponendo estrema attenzione allo stato emotivo dei piccoli e ai loro segnali comunicativi.
Oltre all’atteggiamento responsivo dell’equipe educativa deve assumere, una strategia utile ad accompagnare mamma e bambino a vivere il nido con serenità è quello di effettuare un buon ambientamento. Un tempo in cui i protagonisti possano costruire una conoscenza e una relazione, che possano imparare ad affidarsi uno all’altra. Il nido è un luogo di relazioni che può trovare una strada percorribile per accompagnare genitori e piccoli, insieme alle educatrici, ad abitare questa nuova comunità con fiducia.
“I bambini hanno bisogno solo della loro mamma nei primi 3 anni”
Abbiamo visto come gli attaccamenti multipli possano essere di notevole importanza nel percorso di vita di un bambino ma non sono gli unici a intercorrere nello sviluppo di una persona. Nei primi due anni di vita i cambiamenti della struttura del cervello sono imponenti ed è l’ambiente a dare forma al cervello agendo sulla sua plasticità. La mente dei bambini è concreta perché imparano attraverso l’agire corporeo che sottende al movimento, al conoscere tramite mani e piedi così da costruire l’impianto di conoscenze su cui basare anche gli apprendimenti futuri più astratti. Nella sua fase iniziale, la mente dei bambini ha bisogno di fare tentativi con tempi lenti, si basa sull’interazione diretta con gli adulti e lo spazio.
In tale contesto, il nido assume un ruolo significativo nella conoscenza della realtà perché il momento del primo ingresso al nido corrisponde in genere al primo ingresso del bambino in comunità. Al nido le educatrici (si utilizzo il femminile perché siamo tutte donne) prendono per mano i bambini e li accompagnano con cura ed attenzione verso il mondo fatto di numerosi dettagli e particolari da scoprire ed esplorare. L’asilo nido è un luogo educativo in cui l’apprendimento e la relazione risultano i due dispositivi formativi principali. Considerando la sensibilità della fascia di età, le buone prassi educative al nido si intrecciano anche con i momenti di cura che diventano parte integrante del lavoro educativo non secondario rispetto a dinamiche come il gioco libero.
Al nido si fa pedagogia della relazione, si aprono le porte al mondo e grandi e piccoli si prendono per mano per compiere un pezzo di strada insieme.
Le figure professionali che vivono il nido insieme ai bambini devono essere in grado di avere una presenza discreta in grado di incoraggiare i loro apprendimenti costruendo dei contesti ricchi di opportunità. Inoltre le educatrici rappresentano un modello di comportamento per i bambini, ogni loro gesto e parola influenza i bambini e la loro serenità.
“I bambini al nido non imparano nulla, giocano e basta”
Il gioco è il mezzo che i bambini imparano ad utilizzano per esplorare l’ambiente che vivono. Comprendono le funzionalità degli oggetti, le sensazioni possibili da un possibile stimolo che sia una pianta, una sostanza come il caffè, che i cubetti di ghiaccio sono freddi. Da questo impianto prezioso c’è una area spesso dimenticata: l’autonomia. Quando si segue una prospettiva educativa di valore, l’acquisizione delle autonomie è uno dei punti focali dell’asilo nido. I bambini sopra l’anno possono mangiare in autonomia, ed in questo periodo può iniziare l’apprendimento rispetto alla cura personale (indossare la giacca, le scarpe, lavarsi viso e mani) e tutto ciò che riguarda la vita pratica ed i suoi movimenti. Sono tutte pratiche rivolte ad aumentare il saper fare dei bambini, le loro competenze manuali, relazionali ed emotive.
“I bambini al nido non giocano insieme”
Spesso il progetto educativo dei nidi riguarda il rapporto adulto-bambino o il bambino come individuo singolo con la convinzione che il condividere lo stesso spazio possa essere sufficiente. In realtà nello sviluppo della competenza sociale incidono diversi fattori che le educatrici dovrebbero essere in grado di stimolare e leggere. Anche da semplici azioni come guardarsi, toccarsi, osservarsi, ricercarsi e ritrovarsi rientra la socializzazione, da cui possono nascere importanti occasioni di crescita.
Inoltre attraverso i processi di imitazione i bambini imparano gli uni dagli altri anche attraverso ciò Vygotskij ha denominato zona di sviluppo prossimale.
I fanciulli insegnano benissimo ai fanciulli. E i fanciulli imparano volentieri dai fanciulli”. Pestalozzi, 1746
La zona di sviluppo prossimale è definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l’aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza maggiore. Vygotskij riteneva che il bambino possa imparare da coloro che si trovano a un livello di conoscenza superiore ma le neuroscienze hanno dimostrato che l’apprendimento si verifica quando una serie di fattori come la maturazione progressiva di alcune aree, l’ambiente e la pura esperienza.
Una prospettiva che riflette i bambini come soggetti competenti e attivi, in grado di osservare, scoprire, esplorare quando a fianco a loro hanno adulti capaci di accompagnarli attraverso la cura autentica, riflessione costante, formazione perenne e pensiero critico.
Nella scelta tra nido o qualsiasi altro servizio come una tata o rinunciare al proprio lavoro per occuparsi totalmente dell’educazione del proprio figlio, il focus deve concentrarsi su “è la scelta migliore in termini di sviluppo emotivo e cognitivo?”. I fattori che influenzano sono vari, da un parte troviamo i sensi di colpa che la società sottolinea nei confronti delle donne che decidono di andare a lavorare o scelgono una tata, dall’altra gli stereotipi giudicanti verso il nido come un servizio di scarsa qualità e i prezzi proibitivi del privato. Da una indagine di Save the Children emerge che in Italia solo 1 bambino su 10 può accedere a un asilo nido pubblico. Rendere accessibile questo servizio ha il potere di influenzare anche il benessere dei genitori, incoraggiare lo sviluppo globale del bambino e mettere sul piano delle possibilità un’opportunità preziosa si sostegno per piccoli e grandi.
In questa riflessione non bisogna chiedersi se il nido è essenziale nel processo di crescita di un bambino, ma COME il servizio educativo compie il suo modo di fare educazione. Tale pensiero si moltiplica anche per le altre alternative possibili. Non dobbiamo focalizzarci sul COSA o CHI fa educazione ma COME si attivano le buone pratiche educative. La direzione da seguire è questa qui. Inoltre non tutti i nidi sono adatti a tutti i bambini. Ci sono tanti bambini che mostrano delle fatiche maggiori nel vivere la comunità per tante ore, ma spesso molti nidi sono inadeguati al compito che dovrebbero svolgere. Per questo è fondamentale saper cogliere la qualità del nido e individuare i criteri base di scelta. D’altro canto, un servizio educativo di qualità è porto sicuro per genitori e bambini in questo difficile compito che è crescere come figure genitoriali e come persone.
Per rispondere alle attuali sfide educative occorre rafforzare il legame tra le varie istituzioni educative, in particolare tra famiglia e scuola, i pilastri dell’educazione stessa così da costruire una base solida comunitaria in cui la crescita dei bambini diventi una responsabilità e peculiarità collettiva.
In sintesi, alla luce del bagaglio teorico che ho costruito e per ciò che riguarda la mia esperienza come educatrice e pedagogista consiglio il nido dopo primo anno di età, dai 16-18 mesi di età quando ci sono determinati prerequisiti fondamentali dettati da una qualità elevate che si occupano di un terreno tanto sensibile come l’infanzia, con la cura e il rispetto che merita.
Trovate un approfondimento di queste tematiche nel mio testo “Dalla parte dell’educazione”
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