Ci siamo abituatə pure alla morte. Siamo ormai convintə che il femminicidio sia un fenomeno ordinario. Di fronte all’ennesima notizia di donne ammazzate il giorno della separazione, ragazze uccise mentre tornavano a casa o da vicini di casa che entrano dal balcone siamo completamente anestetizzatə.
L’Istat ci dice che il 31,5% delle 16-70enni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro e il tentato stupro.
Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La stampa elabora un paio di articoli, qualche servizio in tv, appelli di qualche personaggio famoso, alcune foto delle scarpette rosse e si pensa di aver fatto la propria parte contro il femminicidio. Ci rivediamo tutti l’anno prossimo. Ah no, perché nel 2020 è morto Diego Armando Maradona e tutta l’attenzione si è concentrata sui dettagli del suo decesso, sulla sua eredità e quanto i suoi figli avrebbero impiegato a denunciare il testamento.
Per cui nel 2020 non siamo riusciti nemmeno a sottolineare la giornata con una parvenza superficiale di rilevanza.
Pensare di combattere la violenza contro le donne tramite un paio di parole e approfondimenti una volta l’anno è come curare un virus con un cerotto. Non è possibile e nemmeno lontanamente sufficiente.
Il femminicidio ha origini antiche e tradizionali basate su un sistema di pratiche culturali sistemiche che si tramandano di generazione in generazione.
Il nostro modello educativo si basa su una serie di riflessioni, azioni e gesti stereotipati che portano alla cultura dello stupro: un insieme di comportamenti che valuta la donna all’interno di precise aspettative sociali e portano alla violenza sessuale come prodotto finale. Senza che questo sia un atteggiamento volontario ma semplicemente ordinario.
Sono pensieri e abitudini che fanno parte del nostro modello culturale: la divisione tra il rosa e il blu, l’aggressività come un fattore imprescindibile per i maschi e negativo per le femmine, la bellezza come un aspetto basilare per la serenità delle bambine, il termine “non fare la femminuccia” che prevede l’equazione “femmine: definizione spregevole”.
Testo di Carolina Capria e Mariella Martucci – “Femmina non è una parolaccia”
Sono tutti stereotipi di genere che portano a conseguenze malsane e pericolose per tutti. Sono schemi di pensiero in gradi di farci valutare la gelosia possessiva come una caratteristica dell’amore sincero, ad educare secondo i criteri della mascolinità tossica, ci rendono inermi di fronte alla formula “Una donna” usata dalla stampa quando bisogna raccontare un fatto di cronaca, anche di fronte a premi, traguardi e successi i cognomi non sono mai menzionati, ci convincono che la matematica è di sesso maschile e le donne sono portate geneticamente per le professioni di cura. Cresciamo con l’idea di seguire una strada univoca fatta di matrimonio e figli e quando scegliamo, o la vita ci sorprende con altre dinamiche, i giudizi si moltiplicano sempre.
Di fronte ad un’aggressione, il termine più utilizzato è quello di bugiarda, davanti ad un corpo non conforme alla taglia 42, le sentenze diventano esortazioni da seguire senza diritto di replica.
Inoltre in Italia è ancora radicalizzata l’idea che vede i bambini e le bambine come esseri asessuati, e gli unici consigli per gli adolescenti si riferiscono all’astinenza. Manca totalmente un dipartimento che si occupa di fare educazione affettiva e sessuale durante tutti gli ordini educativi e scolastici. Un’informazione precoce rientra nei fattori protettivi in termine di malattie e gravidanze in età adolescenziale. Mentre la scuola non sa come affrontare queste tematiche, i genitori spessi navigano nel puro imbarazzo e questo porta bambini, bambine, e adolescenti ad essere disorientati e cercare risposte senza un fondamento scientifico.
Educazione sessuale non significa insegnare a masturbarsi ma, in questa area rientra anche il sostegno alla loro competenza emotiva, il loro sviluppo sessuale e corporeo, rendendoli consapevoli della propria sfera sessuale, accompagnandoli nell’esplorazione di emozioni e sentimenti connessi al rispetto del proprio corpo e quello altrui. Vengono trattati temi come il consenso, il funzionamento del corpo, come costruire relazioni basate sul rispetto reciproco. Ovviamente basandosi sulle specificità di ogni fascia di età e fase di sviluppo.
Illustrazione dal testo “Dai un bacio a chi vuoi tu”
Non educare al piacere condiviso, al consenso esplicito, al rispetto dei pensieri, desideri e stati d’animo propri e dell’altro permette alla violenza di genere di costruire basi solide per ogni sua forma di espressione: botte, lividi, insulti, discriminazioni economiche e omicidi.
Sono tutti micro atteggiamenti capaci di costruire un impianto di convinzioni sistemico che vede nel diritto ad uccidere un impulso consueto. Come adulti abbiamo il dovere di rompere questi schemi e di ricostruire degli altri. La responsabilità dei femminicidi dipende dall’educazione che decidiamo di trasmettere.
Le buone intenzioni non sono più sufficienti. L’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ci esorta ad attivare tutti i mezzi a disposizione, di inventare nuovi strumenti affinché il femminicidio non sia più un fatto abitudinario.
Siamo abituate a morire ma di morire non ne possiamo davvero di più. Cambiare lo sguardo e l’impianto educativo è diventata un’urgenza di tutti, senza distinzione alcuna.
Qui puoi trovare il mio testo “Dalla parte dell’educazione”
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere aggiornato sui prossimi in uscita ma anche per conoscere e raccontare storie e progetti su tematiche pedagogiche e sociali, puoi mettere un like sulla mia pagina facebook.com/diariodiuneducatrice