Il diritto ad essere papà. Perché il congedo di paternità deve essere esteso a tutti

La cura è una meravigliosa scelta, non una prerogativa di genere. Non ci sono studi a testimonianza della tesi che le donne abbiano doti specifiche tali da dover svolgere la maggior parte del lavoro domestico ed essere le uniche responsabili e presenti dell’educazione delle bambine e dei bambini. La cura è una faccenda anche per gli uomini, è un diritto anche dei papà.

Nell’ultimo decennio stiamo assistendo ad un’evoluzione del ruolo della figura paterna definendo di fatto una nuova paternità. Il padre non è più considerato come un ruolo destinato solo all’area normativa con il suo stile autoritario. I papà del 2021 anche se non hanno esempi su cui appoggiarsi, esprimono e dimostrano una spiccata volontà nel diventare una figura genitoriale importante tanto quanto la madre. 

Il padre che lascia spazio alla sensibilità e alla cura è ancora considerato rivoluzionario ma il cambiamento è ormai in atto, ma non concluso e consolidato. Si sta costruendo un nuovo modello di maschile in alternativa al paradigma pericoloso della mascolinità tossicaQuesta nuova presenza è stata scambiata dal pensiero comune come una tendenza femminile dei padri che spesso vengono definiti “mammi”, termine rappresentativo di una visione che vede loro come una figura essenziale solo se “imita” le madri. Gli uomini sono in grado di cambiare un pannolino, provvedere alla cura fisica ed emotiva della prole, senza che sia necessaria urlare al miracolo. 

Questa rottura con il passato dovrebbe concedere anche alle madri più libertà di condividere modalità e funzioni che storicamente erano paterne, costruendo così un modello genitoriale non basato su ruoli rigidi ma che permetta ad entrambi i genitori di essere co-responsabili della vita delle bambine e dei bambini a cui hanno dato la vita.

Seguendo così alla Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che recita all’articolo 7:

Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi.

Tutto questo però ha un vuoto legislativo. 

Fino al 2017 i giorni di congedo di paternità erano solo 2. Nel 2018, tale diritto è stato esteso a 4 giorni, per poi arrivare a 5 giorni per chi è diventato papà nel 2019. A seguito della Legge di Bilancio 2020, i giorni obbligatori spettanti ai neo papà sono in tutto 7. Nel 2021 c’è stato un incremento delle giornate, arrivando a 10, in virtù delle Direttive Europee in materia.

Già fin qui si potrebbero aprire numerosi dibattiti legati a quanto lo Stato non riconosca la figura paterna, con il rischio di ledere l’equilibrio dell’intero nucleo familiare. Perché non permettere ad un padre di prendersi cura della propria famiglia, soprattutto dopo un evento come la nascita di un bambino e di una bambina rende vulnerabile anche il progetto di vita di tutti i componenti coinvolti. Dei padri a cui viene letteralmente negato il diritto alla cura, al nuovo nato che non può che fondare l’intera sua sopravvivenza sulla presenza di un solo genitore, e alle madri che devono affrontare in solitudine un periodo così particolare, vedendosi responsabili nuovamente di tutto il carico del lavoro domestico. 

10 giorni sono ridicoli in questo contesto ma diventano quasi un miraggio per una categoria di lavoratori a cui non viene concesso nemmeno un giorno: i dipendenti pubblici. Come se essere padre mentre si è dipendenti di un servizio pubblico faccia scomparire l’imprescindibilità della presenza paterna di fronte ad una nascita. 

Di fronte a questa assurdità c’è un silenzio acuto che permette allo Stato di continuare con la sua indifferenza, alle famiglie di trovare mezzi economici altri aumentando così la disparità tra ceti sociali e le conseguenti opportunità di benessere complessivo. 

Per questo c’è una battaglia che vale la pena di essere raccontata. 

Valentino Marini Govigli, un ricercatore dell’università di Bologna, di fronte all’imminente nascita del figlio, ha scoperto questa discriminazione legale e sta provando ad allargare la rete di conoscenza della situazione odierna sperando di cambiarla. 

Repubblica ha pubblicato la sua lettera:

Mi chiamo Valentino Marini Govigli. Sono ricercatore a tempo determinato presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna.

Lavoro in Italia, dopo un lungo periodo di permanenza all’estero, prima in Grecia, poi in Spagna ed infine in Francia. Sono rientrato perché, insieme a mia moglie, anche lei italiana e anche lei da molti anni all’estero, vorremmo crescere il nostro bimbo in arrivo nel nostro paese d’origine.

Il bambino non è ancora nato e abbiamo già riscontrato le prime difficoltà. In Italia il congedo obbligatorio di paternità è una realtà solo per chi lavora nel settore privato. Istituito nel 2012 ed aumentato gradualmente fino ad essere esteso a 10 giorni continua a non coprire chi opera nella pubblica amministrazione. Sottolineo che In Italia i dipendenti pubblici rappresentano ben il 14% degli occupati.

Come ricercatore universitario non ho diritto, insieme a chissà quanti neo-padri, a nessun giorno di congedo di paternità. Nessun giorno per aiutare mia moglie che, inoltre, partorirà in Francia in quanto attualmente ricercatrice presso un’università francese.

Alle soglie del 2022 ritengo che la genitorialità, se riguarda una coppia, debba essere una esperienza da condividere. Vorrei anche io averne la possibilità. Per poterlo fare ricorrerò al congedo parentale per quanto oneroso per il bilancio familiare. Una decisione che tanti altri non possono permettersi.

Un congedo obbligatorio e sovvenzionato dallo Stato per tutti i padri è necessario per contribuire allo sviluppo di un’Italia più equa, al passo con l’Europa.

Leggo, piacevolmente sorpreso, che la Ministra Bonetti ha intenzione di estendere il congedo da dieci giorni a tre mesi per «parificare la responsabilità maschile a quella femminile». Spero che questa parificazione avvenga anche per tutti i futuri padri e lavoratori pubblici italiani.

Cordialmente,

Un futuro papà

Non possiamo sostenere le famiglie senza dare a loro lo strumento necessario per la cura: il tempo della presenza. Il diritto ad essere papà si traduce anche nell’esigenza di essere una figura presente. Il diritto a non essere considerato un “mammo”, il babysitter per le serate libere ma un papà con tutto ciò che comporta ed è ciò che uno Stato dovrebbe incoraggiare, sviluppare e garantire per legge.

 

Qui puoi trovare il mio testo “Dalla parte dell’educazione”

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Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

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