“La scuola non è una fabbrica di conoscenze ma una comunità di vita” Penny Ritcher, Slow school
Quando pensiamo al fare educazione la mente ritorna quando a scuola ci andavamo noi e pensiamo che quelle stesse strategie e modalità siano sempre valide, dimenticandoci che intanto teoria, riflessione e ricerca pedagogica hanno evidenziato nuove consapevolezze e studi. Dobbiamo inserire la scuola e i servizi educativi in quell’istituzione che ha bisogno di rinnovarsi e cambiare per far proprie modalità di educazione sempre più pregnanti e adeguate ai bisogni di apprendimento dei bambini e delle bambine.
“Quale attività facciamo oggi?”
Una domanda ricorrente in tanti servizi educativi che fa leva su una filosofia dell’educazione ben precisa: una programmazione standard con attività ben precise dal lunedì al venerdì in cui il gioco libero è considerato come quei 10 minuti prima di pranzo tra la pulizia e il “andiamo a lavarci le mani”. La filosofia del lavoretto nelle feste comandate.
In questo contesto, si presenta l’attività della mattina, possibilmente al tavolo e per tutti i bambini. Oggi “vita pratica Montessoriana” e tutti a sbucciare mandarini, oggi “infilo” perché quello era il momento di affinare la coordinazione occhio-mano. Come se per allenare la coordinazione fine fosse obbligatorio compiere tutti la stessa azione in un tempo e spazio preciso. Attività divise secondo le aspettative degli adulti, lunedì attività grafico-pittorica, poi un po’ di motorio, il giardino solo a settembre e a maggio.
Questa cultura si basa su una tradizione educativa ben radicata nel tempo e soprattutto nel pensiero che “se si è sempre fatto così vuol dire che si deve fare solo in un determinato modo”. Dimenticandoci totalmente che fare educazione non significa fare intrattenimento.
In realtà basterebbe approfondire, studiare come funziona il cervello umano per comprendere che affinché gli apprendimenti possano essere interiorizzati in un clima di accoglienza totale e calda di ogni bambino e bambina occorre che siano loro a sperimentare, scoprire, attraversare la realtà con il gioco spontaneo.
Bateson scrive: “Il valore biologico del gioco consiste nel suo presentarsi come una vera e propria forma di apprendimento”. Il gioco è uno dispositivo di sviluppo, in cui le bambine e i bambini fanno esperienza del mondo, trasformandolo, immergendosi, infilando, travasando, facendo finta, saltando, arrampicandosi. Hanno tutti il desiderio lunedì mattina di fare pittura? Programmando ogni momento non teniamo in considerazione delle esigenze dei bambini. Togliamo il gioco libero ma anche apprendimenti spontanei.
Cosa succede se concediamo a loro tempo, fiducia, ambienti stimolanti e adulti supportivi? Imparano facendo, sperimentano le proprie abilità attraverso tentativi ed errori, in giardino scopriamo sfumature sempre differenti, che gli alberi a gennaio sono spogli e a febbraio possono germogliare altri fiori.
Cosa serve la neve finta se abbiamo a disposizione la brina?
Tradizionalmente definiamo il gioco come un’esperienza laterale, banale e come adulti responsabili sentiamo forte il dovere di dare la nostra impronta affinché loro imparino tanto ed in fretta. Ma cosa imparano se l’adulto decide pure a quale gioco si può fare il martedì mattina?.
Valutiamo il gioco spontaneo come una parentesi limitata così vogliamo offrire una serie massiccia di materiali, esperienze, attività perché abbiamo paura si annoino, si possano far male, possano litigare con gli altri bambini, possano sperimentare la frustrazione, tristezza, rischi. Dicendo loro esattamente cosa fare in ogni minuto, guidandoli ad ogni secondo è come se li obbligassimo loro ad indossare una tuta aereospaziale che li protegge da ogni limite ma anche da occasioni, opportunità, sperimentazioni.
Facendo sempre riferimento a quello che esplicita la psicologia dello sviluppo sul bisogno innato dei bambini di scoprire attraverso i sensi le proprie curiosità sul mondo, togliendo loro questa possibilità riduciamo le loro occasioni di sperimentare se stessi con materiali differenti, di mettersi alla prova, prendere decisioni, tentare equilibri con il proprio corpo e nuovi incastri e oggetti, risolvere problemi, attivare il pensiero divergente, dare forma alla loro creatività.
I materiali, gli spazi, la libera esplorazione devono aiutare a moltiplicare le domande, le sperimentazioni e possibilità. Tutte le attività propedeutiche alla scrittura e lettura iniziano dal nido con il fare delle mani e non con le schede da compilare, il cosidetto “pregrafismo”.
Questo accade anche con i più piccolini. Pensiamo al gioco euristico che consiste nel presentare diversi oggetti di uso comune come il pettine, la spugna, i cucchiaini, tubi, tessuti, contenitori in legno, oggetti in metallo, la gomma. I bambini selezionano e li toccano, manipolano, provano, li discriminano, li mettendoli in fila, in equilibrio, incastrandoli e facendoli rotolare.
La scoperta è infatti alla base del gioco, che rende possibile l’esplorazione spontanea degli oggetti, senza la guida adulta che spieghi una soluzione giusta o sbagliata del gioco. Questo è favorito dal fatto che il materiale può essere utilizzato in qualsiasi modo.
Bisogna costruire un percorso che favorisce l’integrazione delle singole esperienze, un ambiente stimolante che sappia offrire certezze e curiosità. Offrire l’uso di linguaggi e di diverse modalità di rappresentazione (grafica, verbale, espressiva), perché così la riflessione dei bambini coinvolgerà più canali comunicativi ed espressivi e sarà meglio interiorizzarla e consolidata. Transitando da un linguaggio ad un altro il bambino può arricchire le sue teorie e anche le sue trame concettuali. Costruire occasioni tra loro connesse permette ai bambini un itinerario sperimentale capace di arricchirsi e di integrare conoscenze ed esperienze.
Quale significato possono avere delle attività tutte uguali che non sollecitano i bambini a fare e a farsi domande?
Nelle attività stereotipate tutto scontato nella ripetizione di gesti che mortificano l’intelligenza.
Cosa deve fare l’adulto? Niente?
Innanzitutto pensare al suo ruolo e responsabilità a sostegno dei bambini e delle bambine e dei loro apprendimenti. Secondo studi e ricerche la modalità per agevolare l’apprendimento è consentire l’esplorazione della realtà, come disse Maria montessori “Per prima cosa offriamogli il mondo!”. Da qui il pensiero che vede riflettere sulle nostre aspettative. Ci sono quelle aspettative che si traducono in fiducia nelle competenze dell’altro, nell’ascolto dei suoi bisogni, nell’incoraggiare ad uno sviluppo fatto di autonomia e indipendenza, in grado di stimolare, rinsaldare, accompagnare.
Esistono anche delle aspettative che indicano un binario esclusivo da seguire che fa coincidere determinati azioni con ideali precisi. Noi adulti ci aspettiamo che i bambini e le bambini seguano le nostre indicazioni, richieste, comportamenti, aderiscono a certi standard prestabiliti dall’alto della nostra altezza ed età anagrafica. Si segue la performance, e diamo per scontato che i bambini e le bambine saranno capaci di fare quello che noi ci immaginiamo, e quando non accade ecco lì il giudizio.
La nostra aspettativa ci porta a ritenere che i bambini apprendano negli orari in cui noi abbiamo deciso che le attività debbano essere finalizzate ad apprendere una sola abilità per volta e non nel gioco diretto, scelto, organizzato e strutturato da loro. Contrastando tutto ciò che dicono le neuroscienze e anche Maria Montessori che ha speso la vita nel dare forma non tanto ad un metodo ma ad una filosofia di pensiero che vede nel bambino un soggetto abile e capace, se concesso a lui tempo, materiali e un adulto accogliente, di dirigere il proprio apprendimento in modo autonomo.
Cosa succede se il tempo diventa tutto libertà di gioco?
Occorre stravolgere il nostro ruolo di adulti e passare da essere l’educatrice a diventare facilitatore di apprendimenti che avvengono attraverso lo stupore e la curiosità che l’adulto deve osservare, comprendere, sostenere e rilanciare.
L’adulto ha il ruolo di scegliere i materiali da proporre, organizzarli, allestire contesti stimolanti senza delineare un uso specifico di questi materiali, senza prevedere sequenze da rispettare (facciamo questi, poi disegniamo questo, poi ci attacchiamo questo… ecc).
Sono materiali che ruotano tra gli scaffali, in grado di rispondere ai loro interessi e sollecitano la loro curiosità, così che le loro sperimentazioni li faccia immergere nella scoperta e li renda capaci di concentrarsi, e ricercare piste esplorative. Osservando e valutando l’utilizzo che viene fatto, rintracciando le loro curiosità e modellando lo spazio.
Esempio: se osserviamo con i tubi giocano al ristorante, possiamo allestire uno spazio adeguato per rilanciare questo interesse. Allestire un atelier di sartoria con stoffe, manichini, fogli, colori per incoraggiare le loro idee.
Se sono attratti dalle foglie, Possiamo raccoglierle, mettere delle foto a disposizione, lenti di ingrandimento, albi illustrati, rami.
Così da allestire contesti stimolanti all’interno del quale gli interessi dei bambini e delle bambine possano dar vita, in forma libera e non decisa dall’adulto, a scoperte, esplorazioni, creazioni.
A Natale invece di assemblare pupazzi di neve possiamo rilanciare il periodo con uno scotch attaccato per terra e osservare come si muovono, quali materiali usano, se cattura i loro interessi, come, quali relazioni si creano, quali bambini prediligono l’esperienza o la ignorano. Da qui attivare diverse fasi di lettura.
Ad esempio, qui i bambini prima hanno usato lo scotch come un sentiero e poi hanno iniziato a riempirlo, facendo linee, disegnando forme, poi hanno voluto decorarlo, collaborando e attivando strategie e modalità di comunicazione.
In questo assetto l’adulto osserva, tiene traccia del lavoro dei bambini documentando, rilancia quando l’interesse sta calando. È un adulto che sostiene e valorizza.
Occorre progettare il pensiero educativo che stimola la libera esplorazione con cura e attenzione perché libertà non significa “far ciò che si vuole” ma avere la possibilità di creare e apprendere dentro una cornice e regole definite. Esempio: non si lancia la sedia al compagno se si vuole sperimentare il suo peso, si rispettano i turni, i giochi degli altri, le attese, le esplorazione.
Generalmente i materiali stimolanti riducono conflitti e incoraggiano le relazioni. Se alcune richieste, desideri, esplorazioni non possono essere soddisfatte per motivi di tempo, spazio, sicurezza, bisogna spiegare ai bambini le motivazioni, dicendo che capiamo il suo desiderio e ci dispiace che quella cosa non si possa fare, ma proprio non è possibile. In questi casi possiamo orientarlo su un altra scelta o si rispetta la sua fatica e attendiamo che sia pronto a fare altro.
Tutto questo non accade nelle attività dirette dall’adulto, nel quale l’educatrice dice ai bambini cosa fare passo dopo passo ma il gioco spontaneo è lo strumento principale per gli apprendimenti profondi in cui si esplora la propria modalità di stare in relazione con il mondo. Il gioco gli restituisce il senso del proprio agire, la percezione del proprio corpo e delle proprie abilità e competenze, la possibilità di intervenire sulla realtà.
A testimonianza di tutto questo abbiamo un’ampia riflessione pedagogica: Malaguzzi con i “suoi” cento linguaggi, Montessori dichiarava l’importanza della libertà di scelta, la filosofia del lavoro aperto e della pedagogia del bosco, Pikler ha posto le basi per assecondare interessi e tempi dei bambini fin da neonati, mentre le neuroscienze e la psicologia confermano che c’è apprendimento solo divertendosi, solo se vengono suscitate emozioni positive e se il soggetto è attivo, coinvolto.
Gli ingredienti sono: flessibilità del tempo e dello spazio, ruolo e atteggiamento valorizzante dell’adulto, varietà di spazi e materiali, possibilità di libera esplorazione, opportunità di connessioni e uso dei diversi linguaggi sono variabili funzionali a promuovere i processi creativi dei bambini e delle bambine.
La libera esplorazione un po’ fa paura perché permette movimento, libertà con quella capacità di stupirsi, in cui l’adulto non può controllare ogni singola azione. I ruoli si invertono e i bambini e le bambine diventano veri protagonisti e maestri del loro sviluppo.
Trovate un approfondimento di queste tematiche nel mio testo “Dalla parte dell’educazione”
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