Il problema non sono le principesse ma l’ideale di perfezione che trasmettono

Le aspettative sociali, che ormai fanno parte del nostro modo di vedere la realtà, ci indicano anche l’approccio educativo che dobbiamo seguire. Così maschi e femmine seguono binari distinti. Circondiamo le bambine di rose, tulle e ripetiamo loro che essere belle è un obiettivo imprescindibile per la vita. Ripetiamo che trovare il principe azzurro è essenziale per la felicità, offriamo narrazioni in cui le principesse devono essere salvate e reiteriamo prospettive per il futuro di cura, amore strettamente romantico e aderenza alle categorie sociali.

Le bambine adorano le principesse, vogliono essere come loro, indossano corone, scettri e vestiti pieni di brillantini perché offriamo loro solo questa possibilità. Non c’è ancora spazio per un pensiero che non giudichi il proprio corpo e quello altrui, per la solitudine come dimensione di crescita personale in cui si esplora se stessi e non si inserisce in un’area di “sfortuna” o “zitellaggine”. 

Le bambine vogliono essere bellissime, perché sanno già che quello è lo spazio in cui potranno affermarsi. L’unico su cui avranno potere.

Vogliono essere magrissime perché ogni immagine, racconto, testimonianza racconta di quanto un numero sulla bilancia condizioni pesantemente la loro esistenza. Uno studio dimostra che le bambine sviluppano il desiderio di dimagrire già a sei anni. Le riempiamo di complimenti, dicendo loro che sono speciali, bellissime, e dovranno brillare, eccellere, essere le regine del regno senza pensare che questo punto di vista potrebbe risultare ingannevole.

Le bambine non sono speciali, ma ognuna di loro è unica per le caratteristiche, peculiarità che possiede e può sviluppare, esattamente come tutte le persone che incontreranno nel loro percorso di vita. Senza che nessuna si proclami migliore per bellezza, resilienza ed intelligenza. 

Il problema non sono le principesse e i loro abiti di tulle e brillantini ma l’ideale di perfezione e accondiscendenza che trasmettono. 

Adoro Elsa, è umana, ha dei poteri magici che non sa controllare, ci risparmia la solita storia   dell’amore romantico, e celebra invece altre l’amore fra due sorelle. Inoltre le due figure femminili trasmettono messaggi per niente banali: l’importanza di essere se stessi e di dominare la paura, inclusa la paura di essere diverse. Nel primo film nella trasformazione di Elsa, lei ha un vita di una taglia imbarazzante. Nel secondo meglio le hanno fatto indossare i pantaloni e c’è un miglioramento ma ancora non basta.

Nel secondo meglio le hanno fatto indossare i pantaloni e c’è un miglioramento ma ancora non basta.

Il sociologo Anthony Giddens ha analizzato le parole utilizzate per definire i/le neonati/e da parte del personale del reparto maternità: robusti, belli, forti vs graziose, fragili, deliziose. Dalle diverse aspettative derivano anche diversi stili di relazione da parte dei genitori, che incoraggiano figli e figlie nelle attività in modo differente già nel primo anno di vita. Tutine: se sono rosa compare scritto carina, testarda, dolce, graziosa, elegante, innamorata e bella. Se azzurre coraggioso, forte, robusto, vigoroso, furbo, birichino, determinato, cool e abile. Una società che limita le possibilità di esplorare il mondo restringendo l’autonomia del tipo di persona vogliono diventare.

Le bambine e le ragazze sono schiacciate da immagini  che le vorrebbero magre e seducenti e la minaccia sociale di essere “categorizzate” come “ragazze facili”, che viene usato ancora come forma di esclusione sociale dalle stesse coetanee. è evidente che c’è un problema di modelli contradditori e fuorvianti. In cui i modelli educativi seguono ancora la cultura dello stupro. Dobbiamo ampliare questo immaginario con diversi strumenti, evitare la trappola della cultura della performance che ci vuole ribelli e attive su tutti i fronti. 

Gli stereotipi di genere, offrono una prospettiva tranquillizzante, nella loro immutata funzione di ridurre la complessità e sono culturalmente interiorizzati in ogni struttura della nostra società: scuola, famiglia e lavoro.

Iniziamo a raccontare storie diverse. Raccontare le storie come quelle dell’astronauta Samantha Cristoforetti, della vice presidente Kamala Harris, il premio Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini, o Sara Gama, capitano della nazionale di calcio femminile non serve per enfatizzare le dimensioni come il successo professionale e l’infallibilità come imprescindibili per una vita felice e serena. Narriamo della mia estetista a Londra che è riuscita da sola ad avviare una attività in una città competitiva.

Sono narrazioni utili per dire “Bambine siete libere di diventare ciò che volete con lavoro e impegno”. Provateci, fate tentativi che vi costeranno errori e fallimenti ma non seguite il binario unico solo perché qualcuno ha deciso per voi. 

Non ci sarà nessun principe azzurro che le salverà, ma saranno responsabili della propria esistenza, imparando a salvarsi da sole. Impareranno che la persona più importante della loro vita saranno loro stesse, pensando sempre alla prima forma singolare come prerequisito base. 

Questo non significa togliere loro la possibilità di sognare, ma offrire degli strumenti proficui e adattivi alla vita costituita da situazioni, contesti e circostanze per le quali non saranno delle principesse ma delle persone umane in mezzo a tante altre. 

E ciò che vorranno essere dipende da ciò che raccontiamo loro. Per questo è necessario correggere il linguaggio, sottolineando impegno, costanza, capacità. Partire e offrire altre storie e orizzonti ricche di possibilità. Insegniamo loro che la perfezione non si esiste, le emozioni sono tutte giuste,  bisogna solo comprendere come gestire i comportamenti conseguenti. Non usiamo “femmina” e “femminuccia” con una valenza negativa, come se fosse una parolaccia. 

Usiamo diverse sfumature lessicale senza enfatizzare le pance piatte o più gonfie, i nasi gobbi o i riccioli d’oro, allarghiamo lo sguardo oltre le viti sottili, insomma focalizziamoci su tutte le altre capacità che le bambine dimostrano in modo tale che “sei bellissima” non sia l’unica nota linguistica percepita dagli adulti. Sottolineare le competenze, le conquiste, il saper fare rispetto al mero apparire. Consideriamo il  corpo non come un oggetto da allestire ma uno strumento che ci contiene, tutto intero senza parti da escludere. 

Il linguaggio è il nostro atlante di riferimento.

Offriamo tra vestiti e bacchette magiche anche provette e numeri. Perché sappiamo che il problema sta, spesso, nelle aspettative delle famiglie e nell’immagine di noi che ci consegnano: se a casa nessuno ci farà sentire “strane” perché siamo appassionate di chimica, o a scrivere codici informativi, avremo un enorme vantaggio. La matematica non ha preferenze di genere: maschi e femmine hanno le stesse abilità.

Le storie sono tra gli strumenti più potenti per sradicare convinzioni sbagliate e ingannevoli. Non sono ovviamente l’antidoto ma rientrano tra i mezzi preziosi che abbiamo a disposizione e abbiamo il dovere di utilizzarle al meglio per mostrare altre possibilità, strade, occasioni. 

Facciamo in modo che non considerino la vulnerabilità sotto un’angolazione negativa. Mostriamo loro che prima di adottare una opinione, è necessario analizzare tutte le variabili e testimonianze a cui abbiamo accesso. Non lasciamo credere che l’indipendenza economica sia superflua ma incoraggiamole a studiare e lavorare perché i soldi sono tempo ed il tempo è necessario per organizzare benessere e felicità.  

Insegniamo loro che possono essere competenti, intelligenti, ma soprattutto libere di essere ciò che vorranno. Così che un giorno, potranno alzare la mano e dire “Ho cose interessanti da dire!”.

E non dimentichiamoci di dire tutto questo anche ai bambini. Anche loro inglobati in stereotipi che inneggiano ad una mascolinità tossica pericolosa.

Il gioco è il lavoro del bambino dichiarava Maria Montessori. Perché limitarlo secondo categorizzazioni errate in base al sesso?

Il femminismo promuove nuove categorie interpretative, e ha il compito di costruire una consapevolezza differente e rivoluzionaria rispetto alle aspettative sociali di genere. Bisogna innanzitutto educare i grandi alla parità, fare in modo che usino la letteratura come fonte di conoscenza e da qui essere figure di supporto per l’autodeterminazione delle persone di cui hanno la responsabilità.

La responsabilità di un’altra narrazione è compito nostro. 

Qui puoi trovare il mio testo “Dalla parte dell’educazione”

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Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

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