Cosa puoi fare come genitore nel mese del Pride?

Giugno è il mese della fine della scuola ma anche internazionalmente dedicato al Pride, anniversario degli scontri di Stonewall, l’evento che portò all’istituzione della manifestazione più famosa dell’affermazione dell’orgoglio della comunità LGBTQIA+ nel mondo. Ogni anno una marea di persone, senza distinzione di orientamento sessuale e identità di genere partecipano al Pride per rivendicare diritti di tutti e per tutti. 

“Non siamo cittadini di serie B. Non siamo spazzatura, criminali, peccatori o malati. Siamo esseri umani come voi”. Questo è il messaggio principale del Pride. 

Pride in inglese significa orgoglio, un termine inteso come contrario di vergogna, sottolineando la dignità di essere chiunque vogliamo essere, e promuovere non solo la libera espressione di sé ma anche di rispettarla negli altri, e non vergognarsi di questo, senza comportare una svalutazione nei nostri confronti. Perché è proprio la vergogna il sentimento che accompagna ancora oggi la comunità LGBTQIA+. Nessuna persona subisce discriminazioni,  viene quotidianamente deriso, insultato, picchiato solo perché è eterosessuale. Per chi non ha un orientamento sessuale diverso o identità di genere, invece, la storia è ben diversa. 

Per questo, il carattere del Pride è così colorato ed eccentrico. Il Pride è una festa per tutti e tutte, ma soprattutto di coloro che nella vita quotidiana sono stati costretti a nascondersi. L’uso di vestiti particolari e colori vivaci rappresenta l’identità per la comunità LGBTQIA+ nella libertà di poter esprimere sé stessi, senza aderire ad aspettative e ruoli sociali. Il bello del Pride è che è inclusivo. Ognuno può finalmente essere se stesso, dalle borchie e tacchi alti, alla t-shirt bianca. 

Cosa puoi fare come genitore nel mese del Pride?

1) Inizia a lavorare su te stesso e sulla realtà quotidiana che circonda il tuo nucleo familiare e i bambini e le bambine di cui sei responsabile.

Questo comporta un lavoro interiore considerevole che costituisce una certa consapevolezza in grado di aprire orizzonti e possibilità. Tutti e tutte noi abbiamo stereotipi e pregiudizi interiorizzati, lenti con cui vediamo e valutiamo la realtà, comportandoci di conseguenza. Questo lavoro di scoperta include ascolto della comunità discriminata ma anche una dose massiccia di autoriflessione e pensiero critico, solo riuscendo a scoprire le nostre false credenze, possiamo liberarcene.

2) Lavora sulla realtà quotidiana che circonda il tuo nucleo familiare e i bambini e le bambine di cui sei responsabile.

Tale lavoro vuol dire iniziare da un linguaggio accogliente, chiamare “papà” e non “mammo” il genitore che si prende cura dei propri figli. Non utilizzare un lessico inappropriato e non rispettoso per i fatti di cronaca, ascolta la comunità discriminata, fai attenzione agli strumenti che offri e metti a disposizione dei bambini e delle bambine come cartoni e libri. 

3)Costruisci l’esempio che vuoi trasmettere.

Noi adulti siamo molto bravi ad elaborare ramanzine e discorsi articolari pieni di consigli, indicazioni, rimproveri e anche regole (giustamente) ma nella realtà che tanto difendiamo con le parole, cosa accade? Dare buoni modelli è uno dei passaggi chiave per trasmettere un messaggio, se crediamo dunque in una società paritaria, dobbiamo rendere paritaria ciò che ci circonda con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Partiamo da casa nostra, dalla distribuzione dei lavori domestici, dalla modalità che scegliamo di rivolgerci all’altro genitore e all’altro sesso. è un lavoro complesso e articolato ma i primi modelli che dobbiamo offrire ai bambini e alle bambine siamo noi stessi, con tutte le nostre imperfezioni e vulnerabilità. La vita reale è fatta anche di questo. 

 

4) Fai attenzione alle parole che scegli per descrivere la realtà circostante.

Come commenti i fatti di cronaca, come descrivi le persone che circondano la vostra famiglia, quale modalità utilizzi per parlare con le insegnanti, gli altri genitori, come ordini un caffè al bar o una pizza al ristorante. Vale tutto, anche quando credi che i bambini e le bambine non stiano ascoltando. In realtà hanno le orecchie ben sintonizzate 24h su 24. Sei una persona che si relaziona con gli altri e il mondo in modo accogliente, usando gentilezza e cordialità o usi una modalità di attacco a prescindere? Quale modalità ti caratterizza di più? Quale modalità usi e soprattutto quale modalità hai con i bambini e le bambine di cui ti prendi cura?.

 

5)I corpi non sono terreno di discussione.

Tutti i corpi sono validi, hanno il diritto di esistere senza che altri avanzino commenti, pensieri, indicazioni e consigli. Qualsiasi sia la forma, dimensione, altezza, larghezza, lunghezza. Vale anche per tutti gli ornamenti destinati al corpo come colore di capelli, tatuaggi, e vestiario. Ognuno ha il diritto di abitare il mondo con ciò che crede senza dare nessun tipo di spiegazione alla comunità. Cresciamo con un’idea precisa di come debba essere un corpo ideale, e nella nostra cultura sembra per lo più coincidere con la snellezza e l’altezza. Le pressioni sociali verso un’immagine corporea ideale iniziano a influenzare la vita dei bambini e delle bambine molto presto dalla famiglia. La bellezza come valore universalmente conosciuto non può più affidarsi a criteri rigidi del “alta, magra, occhi azzurri” per essere rispettati e ascoltati.

6) Un no è sempre un no e va rispettato.

Le negazioni sono spiacevoli, portano a frustrazione, rabbia, tristezza ma se non accompagniamo bambini e ragazzi nel vivere queste emozioni in età da sviluppo, come potranno affrontarlo in modo opportuno quando saranno adulti? Vale a dire che se vogliono giocare con un materiale specifico, devono chiedere il permesso o aspettare il proprio turno. Significa alzare la mano per prendere la parola, accogliere di non essere il giocatore titolare, accettare un rifiuto nei confronti della persona con cui si prova un sentimento di affetto più corposo, come quello amoroso e-o di attrazione fisica- sessuale. Si lavora sul conflitto come possibilità di relazione sana, a tollerare la frustrazione e accettare i no degli altri ed esprimere, senza sensi di colpa, ed in modo opportuno quando un determinato gesto, azione, comportamento non ci permette di sentirci a nostro agio. 

7) Rispetto dell’altro.

Questa dimensione sembra banale e superficiale ma è la radice della questione che racchiude tutte le microcategorie relative all’accoglienza e all’inclusione. Vuol dire far proprio una genitorialità consapevole dei limiti, discriminazioni e della cultura in cui siamo immersi che condiziona e influenza le nostre scelte, percorsi professionali e di vita. Usare un linguaggio non aggressivo e violento, non usare ricatti e minacce. Si è testimoni della buona relazionalità anche nella relazione con i figli. Significa rispettare differenze e unicità di ognuno, mettere nel nostro tavolo obiettivi di ascolto, dialogo, rispetto ed uguaglianza. Pensiamo alle nostre amicizie, colleghi, familiari: nessuno di noi è identico uno all’altro. L’educazione è lo strumento più potente che abbiamo disposizione per allargare interessi, conoscenze e orizzonti di possibilità. Per questo dobbiamo usare tutti i suoi strumenti. 

8)Non alimentare la cultura dello stupro.

La cultura dello stupro è un insieme di comportamenti, termini linguistici, atteggiamenti che trasmessi culturalmente spesso involontariamente diventano pratiche abitudinarie con cui gli uomini pensano e si approcciano alle donne, come parlano di loro, dalle chiacchiere di spogliatoio, ai finti complimenti, alle chat di Telegram dove ci si scambia materiale pornografico senza consenso. Vuol dire diffondere il consenso. Un’informazione precoce in termini di educazione affettiva e sessuale rientra nei fattori protettivi in senso globale. Noi ci relazioniamo sempre agli altri ed è doveroso attivare percorsi che trattino del rispetto del corpo altrui, delle emozioni proprie e degli altri, del consenso esplicito, rispettando le tempistiche altrui e fermarsi di fronte ad una risposta negativa. Dobbiamo mettere al centro la responsabilità collettiva che abbiamo come adulti che educano sempre ed in ogni istante.

9) Diffondi il verbo.

Rispondi alle battute sessiste se l’interlocutore è un amico e sai che puoi intavolare un confronto. Leggi, ascolta, fai dell’apertura al mondo e ai valori queer la tua cartina tornasole della relazione con la comunità, tutta, senza discriminazioni. Diventa alleato o alleata della comunità LGBTQ+, sfrutta il tuo privilegio per alimentare una cultura inclusiva, continua a porti domande sugli stereotipi che hai interiorizzato.

Vai al Pride con la tua famiglia. Il Pride è una festa, una manifestazione, è un luogo in cui ognuno è accolto così com’è. È una marcia che ogni anno possiamo compiere come alleata di una comunità, lottando per diritti di tutti, per la professione che mi sono scelta e l’enorme fiducia verso questo mondo sgangherato.
Il Pride è anche il posto in cui ci si può sentire a casa perché canta, balla e mi dice a gran voce che io vado bene così come sono. Non con i difetti ma con le caratteristiche che non ci rendono speciali ma unici. Ci si sente amati.  Perché è vero che marciamo per ricordare delle vittime di discriminazione, pensando al mio amico Simone che si è tolto la vita in un paese che gli ha tolto i diritti, per educare liberi da stereotipi i bambini e le bambine di cui ho la responsabilità, ma la realtà è che marcio soprattutto per me. Per raccogliere tutto questo amore e portarlo in classe ogni giorno, ricordando a me stessa e a chi incontro che ognuno va bene così come è.
Ed è il regalo più potente che possiamo farci.

10) Fai tutte queste cose durante tutto l’anno,

senza aspettare giornate dedicate ad hoc così che l’inclusività possa diventare il paradigma in cui tu e la tua famiglia vi relazionate con il mondo. 

 

Qui puoi trovare il mio testo “Dalla parte dell’educazione”

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Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

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