13 stereotipi che accompagnano la carriera di un educatore

Lavorare nel sociale implica affrontare una serie di leggende metropolitane tragico-comiche. È compito di chi fa questo lavoro tutti i giorni, distruggere le convinzioni radicalizzate e potenti nell’opinione pubblica, e soprattutto fra i nostri colleghi.

1) “Meno male che sei un educatore, dovresti essere più empatico!” – “Dici questa cattiveria proprio tu che sei un educatore?”

Noi FACCIAMO gli educatori, non siamo degli educatori. Siamo delle persone umane, prima che professionisti.

Non siamo piccoli eroi dalla spiccata sensibilità e umanità. Altrimenti dovremo essere sempre empatici, astenerci dal giudizio, aperti all’ascolto, avete uno stile di attaccamento sicuro, dei modelli operativi interni adattivi, gestire le nostre emozioni sempre 24h su 24. 

Abbiamo anche una personalità lontana dall’essere perfetta (come tutti) oltre al titolo lavorativo. Vengo apostrofata con questa frase soprattutto in contesti informali, come se non avessi il diritto di arrabbiarmi, e manifestare i miei pensieri nel modo che ritengo più appropriato in quel momento senza dover pensare: “Non posso farlo perché sono un’educatrice”. Usciamo da questi schemi. Ricordiamoci che “staccare la spina” è una strategia essenziale per contrastare il burnout.

2) “Se fai questo lavoro sei una persona paziente.”

No, non sono paziente come persona, ho affinato una competenza riguardante le tempistiche educative individuali e in termini di rispetto dell’altro e a sostenere le fatiche. I “risultati educativi”, sempre se così possiamo definirli, necessitano di tempo, di interventi a lungo termine, di fatica. Il nostro lavoro si basa sulla relazione e su quella è complesso fare un bilancio semestrale dei “guadagni” a breve termine.

3) “Fai l’educatore perché ami i bambini”

Ma non serve amarli. Serve rispettarli ed essere professionali. Avere propensione per un settore non significa amare. Non ho mai letto: “Cerco educatore amante dei disabili o dei tossicodipendenti”. È uno stereotipo.

4) Mi sono laureato in scienze dell’educazione, con questa laurea posso lavorare nelle scuole? Posso insegnare alla primaria? Nelle scuole dell’infanzia?

Se volevate fare le/i maestre/i, dovevate iscrivervi a scienze della formazione primaria e non scienze dell’educazione (classe di laurea L19). Prima di accedere ad una facoltà è fondamentale leggere le competenze professionali, gli sbocchi lavorativi. Potete trovarle nei siti delle vostre facoltà. NON siamo insegnanti ma educatori.

Se proprio l’insegnamento è la via che vorrete perseguire, occorre prendere la specialistica in scienze pedagogiche e continuare con il percorso “Formazione Iniziale e Tirocinio” (chiamato più comunemente FIT). Concluso tutto, potete insegnare scienze umane al liceo (sempre se troverete qualche cattedra disponibile) non alla primaria. Per insegnare alle scuole elementari e nelle scuole dell’infanzia, la facoltà giusta è “Scienze della Formazione primaria”. È a numero chiuso e ha un programma formativo differente da sde.

Un buon educatore non è un insegnante.

5) “Vabbè ma al nido oltre a cantare le canzoncine, cosa fate?”

Nei primi tre anni di vita, si costituisce la base portante su cui si regge lo sviluppo cognitivo e della personalità del bambino. La capacità di apprendimento e delle sinapsi è tre volte superiore ai periodi successivi della crescita. Così, tanto per partire dalle basi. Le canzoncine sono uno dei differenti modi con cui si lavora per stimolare l’apprendimento. Una delle capacità di chi ha scelto questo lavoro, è anche comprendere ciò che ci sta dietro la pura evidenza. Vedere oltre il proprio naso. Vedere oltre.

6) “Se gli psicologi possono fare gli educatori, noi potremmo fare gli psicologi”

Ognuno deve fare ciò per cui ha studiato. È fondamentale sancire la differenza dei due percorsi formativi. Lo psicologo è una professione sanitaria. Noi educatori non abbiamo le competenze per intraprendere una carriera da psicologo, loro invece hanno competenze differenti che li aiutano sicuramente ad intraprendere il percorso educativo con il corretto corso di studi. Ad ogni modo, screditare una professione così delicata e importante è poco professionale. Generalizzare, è piuttosto triste. Non si costruisce niente fomentando contro altre categorie professionali.

Inoltre ricordo che le due discipline – pedagogia e psicologia- sono interdipendenti. Sempre riguardo gli stereotipi, vorrei sottolineare che oggi questa professione non è più mera “etichetta e diagnosi” così come prevedeva la tradizione psichiatrica, ma promozione delle risorse. Non ci sono percorsi di serie a e b, ma solo strade differenti. Ricordiamoci che un’equipe con figure diverse permette di vedere le situazioni da diversi punti di vista e questo apre a nuovi orizzonti, utili per i nostri utenti.

7) “Per fare questo lavoro bisogna avere la vocazione”.

Non siamo preti nè missionari. Si chiama attitudine. Come professionisti, dobbiamo avere la capacità di compiere valutazioni adeguate sul lessico che si usa ed utilizzare la terminologia corretta. L’idea della missione è un fantasma del mondo educativo. Come tutti i mestieri, viene svolto in modo differente se chi lo pratica lo ama ed è contento di ciò che fa ma questo vale, per qualsiasi attività si eserciti. Dovremo far molta più attenzione al inguaggio che usiamo, altrimenti finire come la Madre Teresa di turno e salvatrice univoca del disagio è davvero un passo troppo facile. Il volontariato è una passione, il lavoro è una PROFESSIONE.

8) “Ah si lavori con gli handicappati, gli fate passare il tempo tanto per…”

Con le persone disabili si lavora per raggiungere l’autonomia, parziale, limitata o totale. Lo scopo del nostro lavoro è la promozione del benessere come ad esempio, il progetto Make your smile Up di Martina Tarlazzi. Denunciate quei posti che chiedono ad una persona disabile di 50 anni di trascorrere la giornata a colorare le schede dei bambini di 4 anni. Le attività ricreative possono essere degli strumenti per sostenere e raggiungere il benessere dell’utente, ma deve essere ben presente lo scopo da raggiungere e la motivazione nello scegliere un determinato laboratorio. Ogni intervento deve essere supportato da un progetto educativo individuale. Non si improvvisa nulla.

9) “Finché non avremo un albo professionale, nessuno ci prenderà sul serio…”

Noi non abbiamo un albo e non dovremmo richiederlo. L’albo è una lobby odiata da molti suoi iscritti, perché tassa pesantemente e richiede una assicurazione vincolante. In Europa, gli albi non esistono e l’Italia viola gli accordi europei perché se un medico, avvocato, psicologo europeo volesse esercitare la sua professione in Italia (che fa parte degli stati membri) dovrebbe iscriversi con relativo esame di stato ad un albo. Questo va contro agli impegni presi con l’Europa.

10)“Sei un educatore, vuol dire che sei educato”.

Il problema originario sta nel fatto che l’educazione è un processo naturale che ha richiesto uno studio scientifico in seguito. Bisogna fare una distinzione fra buone maniere ed educazione.  Le prime sono dei criteri che guidano i comportamenti in relazione con gli altri, comportamenti gentili nelle diverse occasioni usando una comunicazione non verbale e linguistica consona.

L’educazione in quanto sapere, si affida alla pedagogia che si occupa dei processi formativi e del benessere dell’essere umano e delle sue relazioni, delle riflessioni dei fenomeni educativi. L’educatore professionale traduce l’orientamento pedagogico del servizio nella relazione che ha con l’utente. Come se fosse, la materializzazione della pedagogia.

Detto questo, è necessario che un educatore segui anche le più basiche regole di educazione civile per poter supportare un utente nel suo percorso di autonomia ed formare una cultura di empatia e inclusione, fatta anche di vivere comune rispettoso. Non siamo però invincibili, vedi punto 1 e 2, e le eccezioni sono tante. Ho anche conosciuto educatori razzisti e qui tutte le buone teorie e pratiche si frantumano in mille pezzi.

11) “Ho la passione per i bambini, non serve la laurea per essere un educatore”

Fare l’educatore non significa lavorare solo con i bambini (che meritano di essere sostenuti da persone qualificate per svariate ragioni) ma anche con i disabili adulti, anziani, adolescenti in comunità, nei centri di aggregazione giovanile, essere educatori domiciliari. Solo per citare alcuni esempi. Ci sono numerose possibilità lavorative e varie utenze con cui lavorare.  Solo per citare alcuni esempi. Aree talmente delicate che, per svolgere questo ruolo in modo appropriato, una laurea diventa obbligatoria. Nella mia esperienza (lavorativa), lavorando con chi non aveva nessun tipo di formazione, la differenza l’ho sempre notata. Mancano le attenzioni ai particolari, un progetto a lungo termine, il lessico appropriato, le varie prospettive sulle problematiche, le riflessioni precise, le prassi nell’agire, lo studio delle azioni e responsabilità. Ci sono alcuni contenti, in cui forse farsi chiamare dottori può essere utile per distinguerci da chi si professa educatore senza averne titolo.

12) “Il Pedagogista si occupa…ehm..di curare i piedi! No, scusa, di educare i bambini!”

Il pedagogista è un professionista dei processi educativi e formativi della persona. Opera per la prevenzione, la diagnosi, le attività di assistenza, di consulenza rivolte alla persona, alla famiglia, al gruppo e alla comunità.

Quindi, al contrario di ciò che si è soliti pensare secondo un ovvio luogo comune, il pedagogista non si occupa esclusivamente dei bambini e dell’infanzia, ma anche di adolescenti, giovani, adulti, anziani e disabili ovvero delle altre fasi della vita.

In parole più semplici, il pedagogista si occupa del potenziamento delle risorse, del benessere e dell’empowerment della persona e del suo ambiente, come ad esempio: conflitti genitori-figli; problematiche legate al mondo della scuola; sostegno alla genitorialità; sportello di ascolto per adolescenti, delle attività di orientamento scolastico e professionale, di progettazione, coordinamento, direzione e attuazione di progetti per la formazione professionale, l’aggiornamento, la qualificazione, la riqualificazione e la selezione del personale; e di attività di sperimentazione, di ricerca, di didattica, di formazione e di verifica.

Uno dei suoi compiti principali riguarda il supporto agli educatori, accompagnandoli a progettare al meglio i loro interventi educativi.

13) “Pur di fare esperienza, lavoro gratis”

Il lavoro degno, non è il lavoro gratuito. Le condizioni economiche e contrattuali che subiamo ogni giorno sfiorano la tragedia. Comprendo chi, per aumentare le sue possibilità di assunzione, accetta qualsiasi compenso pur di lavorare ma le conseguenze di danno di immagine alla categoria sono davvero elevate. I datori di lavoro sanno che possono far leva su una questione delicata e importante: la disperazione dei disoccupati. Nel mondo del sociale, il problema si amplifica.

Non accettate gli stage gratuiti, dopo nemmeno vi assumono perché prendono un altro stagista. Non deprimetevi agli orari che si allungano a piacere del capo, perché se non resti non ti rinnovano. Non rassegnatevi.

Imparate poi a rispondere a tono a chi propone lavoro gratis o mal retribuito. Trattateli come i parassiti che sono, non state al loro cospetto a sognare inesistenti assunzioni. Girate i tacchi. Devono subire la stessa riprovazione sociale che si riserva ai ladri.

Il lavoro gratuito o mal retribuito, perde di valore. In tutti i sensi.

Diverso invece il discorso che si fa invece negli UK. Qui il volontariato è una forma ben gestita di apprendimento, in cui si può imparare una professione mentre si sta studiando o solo osservare dei professionisti. Spesso, chi ha svolto del volontariato negli asili e scuole, riceve anche un’offerta di lavoro nei mesi successivi. Non è un passaggio automatico ma il volontariato è un passaggio che in Inghilterra è davvero apprezzato e valutato in ottima positiva.

In Italia, la situazione è tristemente differente.

Questi sono solo stereotipi che accompagnano il percorso di un educatore ma sta a noi per primi, sconfiggerli, uno per volta.

I cambiamenti più importanti partono dal basso, diffondiamo informazioni corrette e puntuali.

Divulghiamo la pedagogia scientifica, costruiamo la nostra esperienza lavorando in luoghi con una forte serietà professionale. Non lasciamo l’educazione in mano alle persone che pensano sia solo “buon senso”. Produciamo materiali, articoli che possono offrire una visione reale del contesto lavorativo attuale. Usiamo un lessico appropriato. Il percorso è in salita, pieno di buche, burroni e interruzioni. Bisogna cambiare totalmente le fondamenta ma dobbiamo iniziare a farlo noi per primi, per far in modo che qualcuno ci ascolti e certifichi un valore istituzionale alla nostra figura professionale.

Insomma, tocca combattere.

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Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

2 Comments

  1. Raramente ho letto un articolo così ben ponderato, equilibrato e significativo sulla professione di educatore. Non è la mia qualifica, ma è stato il mio mestiere per 13 lunghi anni. Ho cercato di cambiare un po’ le cose (perlomeno le condizioni di lavoro e la professionalità nei confronti dell’utenza) da amministratore di una piccola cooperativa, soprattutto formandomi continuamente ed imparando dai miei stessi errori. Purtroppo la mia fiducia verso il Sistema è ai minimi storici, ed ho deciso di abbandonare tutto per dedicarmi ad altro…sperando di trovare la mia strada. Grazie!

  2. Sulla questione Albi non mi è chiara ben la questione. Sapevo che in Inghilterra, per esempio, vi sono sempre stati due liste di professionisti psicologi, uno per gli psicologi ed uno per gli psicoterapeuti, i primi inoltre sono giudicati meglio rispetto ai secondi, non credo però ci sia un esame da fare in effetti. In Francia non c’è alcun albo, ma non sapevo che la cosa fosse contro le normative europee.
    La preparazione ed i percorsi intrapresi all’estero sono poi diversi.
    Infine il punto 6 dovrebbe essere ricordato a chi ha sostenuto la legge Iori, tra cui la senatrice stessa, che nel tentativo giustissimo di riconoscere agli educatori la loro professionalità ha impoverito il mondo del lavoro sociale, togliendo ulteriori competenze e risorse di altri professionisti. Tra due anni gli assistenti sociali e gli psicologi, che devono ancora concludere il loro percorso per poter arrivare ad esercitare saranno a piedi ed anche secondo me queste non erano le giuste battaglie da fare nel sociale.

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