“La felicità non viene dal possedere un gran numero di cose, ma deriva dall’orgoglio del lavoro che si fa” -Gandhi
Ho sempre voluto fare questo mestiere. Sempre. A 14 anni ero l’unica iscritta al liceo socio-psicopedagogico che dietro la mia timidezza affermava “Io voglio far l’educatrice da grande”. È un lavoro gratificante ma anche uno dei più mentalmente faticosi (fisicamente si fa più fatica a lavorare in miniera) che esistano.
Quando racconto del mio lavoro agli amici e a chi non mi conosce, quando provo a descrivere degli utenti che incontro, dei pregiudizi sulla disabilità, delle difficoltà di un turno di 24 ore in comunità, delle paghe ridicole per più di 40 ore settimanali mi pongono sempre la domanda: “PERCHÉ VUOI FARE QUESTO LAVORO?”.
Certe volte, la frustrazione raggiunge dei livelli notevoli e spesso mi sono chiesta se ne valesse davvero la pena.
Anche per questo, ho deciso di mettere per iscritto le mie motivazioni. L’intenzionalità è essenziale per il nostro lavoro e sapere perchè si sta eseguendo una determinata azione, ti porta già a dei vantaggi.
Ho stilato i miei perché.
- Perché obbliga a mettersi in gioco, a crescere. È un lavoro che ti spinge alla riflessione continua ed estenuante, devo sempre monitorarmi;
- Perché lavoro con le persone, non con gli oggetti;
- Perché incontrare le storie altrui mi ha aiutato ad affrontare la mia quotidianità con un’ottica differente arricchendomi;
- Perché mi rende felice ed è la professione che mi fa svegliare felice la mattina;
- Perché ho una responsabilità nella relazione con chi incontro;
- Perché trovo fondamentale lottare contro i pregiudizi che sentenziano chi deve avere il diritto o meno di determinate opportunità;
- Perchè sono convinta che si debba combattere contro gli sterotipi di genere partendo dall’educazione fin dai primi anni d’età;
- Perché nascere con una disabilità non può essere una condanna a morte, sarà più difficile ma le possibilità di una vita felice sono realizzabili;
- Perchè credo nel potere dell’educazione, nel lavoro di prevezione essenziale. Non solo pergli utenti ma per la società intera.
- Perché mi piace fare domande più che a dare risposte;
- Perchè voglio prendermi cura dell’altro affinchè non abbia più bisogno di me;
- Mi piace rileggere le storie altrui e sostenerli nel cambiare direzione;
- Perchè mi piace il problem solving relazionale e sociale;
- Perché ho lottato per esserlo;
- Perchè amo il multitasking, come preparare pranzi per 20 persone e montare letti Ikea;
- Perché da un marea di soddisfazioni (se si è capaci di vederle);
- Perché ho studiato;
- Perché è giusto che qualcuno si impegni a riconoscere questa splendida professione;
- Perché mi pagano (poco ma lo fanno).
Cercare i motivi che ti spingono a svolgere una professione è fondamentale. Soprattutto in quei momenti in cui far l’educatore appare una lotta senza significato. I nostri perché ci aiutano a ritrovare un senso al nostro agire, alla cura educativa e soprattutto alla nostra motivazione senza la quale sarebbe inutile qualsiasi nostro sforzo ed azione. Ci sostengono contro il burnout.
Le motivazioni possono essere, scritte, lette, pensate o riassunte perfettamente in un video di 4 minuti.
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