A cosa stiamo educando quando ricattiamo un bambino?

Dall’alto della nostra altezza fisica e maturità cognitiva noi adulti ci sentiamo onnipotenti. I bambini e le bambine sono persone che per la loro caratteristica di pieno sviluppo ci mettono in piena crisi per le loro continue richieste e ascolto dei bisogni (come del resto il mondo adulto).

Così ci affidiamo a ciò che abbiamo imparato da piccoli: ricatti, premi e punizioni da una parte, e permissivismo dall’altra. Hanno entrambi la peculiarità di non offrire quella guida proficua e rispettosa di cui bambini e bambine hanno bisogno.  

Ricattare e umiliare un bambino non significa educare. Se incute paura e timore non si sta facendo educazione, o almeno dobbiamo iniziare a domandarci a cosa vogliamo educare. L’umiliazione rimanda a schemi di potere di sopraffazione con una volontà precisa di ferire, screditare così da mettere se stessi in primo piano e far soccombere l’altro. Questa dinamica riesce bene quando l’altro è più piccolo, è un minore ma anche una persona anagraficamente o professionalmente considerata inferiore.

I genitori e le figure di riferimento compiono questa opera di screditamento in modo inconsapevole perché rientra in quella modalità educativa intrinseca che conosciamo bene perché noi siamo stati educati secondo questi canoni.

Gli esempi più classici sono:
“Se fai il bravo a scuola ti compro un gioco”
“Se mangi fai contenta la mamma”

In questi casi, non stiamo compiendo il nostro compito educativo di adulti perché non permettiamo a loro di comprendere la realtà, le loro emozioni, bisogni, del loro corpo, del “non mi fa stare bene”, “non voglio”, “non mi piace”.
Il ricatto è sicuramente la soluzione più veloce perché fa scattare immediato il causa-effetto positivo e negativo ma trasmette ai bambini e alle bambine che per ottenere ciò che vogliono bisogna ricattare, umiliare e screditare.

Questa è una modalità violenta e la violenza, quella che leggiamo sui giornali, che invade le nostre vita, i luoghi di lavoro, la scuola, le relazioni, ha radici nell’educazione, parte proprio da questi schemi. 

I ricatti non consentono di valutare ed esplorare la realtà, conoscerla, capire come muoversi e decidere come comportarsi perché indicano solo un binario possibile da percorrere.
In questi casi i bambini e le bambine non sanno quali punti cardinali seguire nello sviluppo del proprio sé, come smarriti dai segnali contraddittori del mondo degli adulti. Tutti elementi che li espongono all’ansia e li riempiono di paura ed incertezze.
Avanzando una minaccia o un oggetto del desiderio per far compiere al bambino il comportamento che desidero, impongo a lui uno schema di azione veicolato esclusivamente da un adulto senza dare a modo a lui di conoscere la realtà e costruire un modo di relazione con essa.

La violenza non è solo quella che interessa il corpo con schiaffi e sberle ma interessa anche il mondo emotivo, quella che tocca l’anima. Le ferite delle anime sono profonde e lasciano cicatrici. 

Ci stupiamo delle vicende di cronaca nera e dei femminicidi, per poi perpetuare nella quotidianità quella modalità di relazione fatta di ricatti, manipolazione emotiva senza avere la minima consapevolezza che anche quella è violenza. La stessa violenza che porta a compiere atti crudeli contro gli altri, a maltrattare, ricattare, minacciare, picchiare.

I bambini apprendono per imitazione tramite i neuroni specchio, imitano i comportamenti che li circondano e riproducono quello che hanno subito. Esattamente quello che stanno compiendo i loro genitori, dalla loro famiglia di origine in una catena senza fine di violenza. Così si utilizza la forza per imporsi.
Chi è spaventato e per paura di fallire adotterà il silenzio come strumento e non saprà quale cartina seguire per orientarsi. Penserà di essere sbagliato con contraccolpi massicci alla sua autostima. È da questa base che si costruiscono la propria identità, le relazioni con gli altri, il senso di autoefficacia. Chi invece interiorizzerà questa modalità relazionale incapace di accogliere la rabbia e gestire i comportamenti e le frustrazioni legati a questa emozione.

Il “si è sempre fatto così” non obbliga a continuare a farlo, a perpetuare l’umiliazione come strategia di relazione. Accogliamo l’errore con gentilezza perché fa parte del processo di apprendimento.

Poniamo lo specchio di fronte a noi e pensiamo a quando noi adulti facciamo errori, come vorremmo essere trattati?. 

Quando ci si ricorda di questa modalità relazionale scatta invece l’alternativa del sorvolare la questione pungente.
Quando una delle due alternative si rivela disastrosa, si ricorre all’altra. Da una parte si ricatta o si permette ogni comportamento. Un pensiero che sposa il famoso “Ai bambini piace” per avanzare qualsiasi forma di educazione, strumento, modalità per essere delle buone figure di riferimento, senza andare oltre quei gusti, le motivazioni, quelle scelte. Un quadro che mette al centro il medesimo pensiero di fondo: l’incapacità degli adulti di considerare i bambini e le bambine come individui con punti di vista propri dimenticando il rispetto come bussola orientativa.

Avere fiducia nelle competenze del bambino, considerarlo come una persona di valore non vuol dire permettergli qualsiasi cosa e non dargli limiti e regole. 

La responsabilità dei grandi risiede proprio qui: comprendere che di fronte a noi abbiamo un essere umano nel pieno del suo sviluppo, con una maturità cognitiva più esigua della nostra perché sta ancora crescendo, calibrare le nostre aspettative (un bambino di due anni non riuscirà a stare seduto per ore immobile al ristorante ad esempio) ed essere una guida amorevole ricoprendo il proprio ruolo adulto di fianco ad un sostegno affettuoso. 

Qui puoi trovare il mio testo “Dalla parte dell’educazione”


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Annalisa Falcone
Sono un’educatrice e pedagogista. Non potrei immaginarmi a vivere felicemente senza questa meravigliosa e faticosa professione. Adoro leggere e la pedagogia è la mia passione più grande. Ho studiato e lavorato a Milano, Bologna e ad Alicante, piccolo e piacevole paese a sud della Spagna. Faccende di cuore mi hanno portato nel 2015 nell’affascinante Londra.

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